Fa piacere ogni tanto registrare il trionfo di un vero, grandissimo maestro: Christian Thielemann , che ha eseguito a Bayreuth una "Walchiria" che possiamo considerare storica a tutti gli effetti.
Poetica, ispirata e al tempo stesso eroica, com'è giusto che questa musica venga interpretata , con l'orchestra in stato di grazia, concentratissima, precisa fino a sfiorare la perfezione.
Un'esecuzione che ha dell'incredibile.
Ci riportano in terra i due soprani, Linda Watson (Brunilde) e l'inadatta Haller come Sieglinde, la prima stonata in troppi decisivi momenti, l seconda fuori parte e debole oltre modo.
Formidabile il Wotan di Albert Dohmen, totalmente in sintonia con il Maestro, fraseggiatore finissimo e intenso, magistrale nelle frasi pesantissime del Finale, con un "Loge! Loge!" accentato come mai si era sentito prima.
Per gli altri ruoli: un onesto Botha come Siegmund , una ottima Fricka in Mihoko Fujimura, un bravissimo basso Kwangchul Youn nella parte di Hunding .
Le Walchirie si sono distinte per precisione e slancio nel loro fantastico concertato, eccettuata un contralto un pò...indisciplinato.
Ma su tutti il magistrale lavoro compiuto da Christian Thielemann, che ha riscattato la brutta inaugurazione con il 'Lohengrin' di appena tre giorni fa.
Pioggia di critiche per Tutino "Si poteva risparmiare la denuncia"
Indagati tre sindacalisti in conseguenza della querela del soprintendente del teatro Comunale per l'occupazione dei lavoratori. La Cisl: "Speriamo siano gli ultimi colpi di coda di chi, finito il mandato, cerca la riconferma"
E su Tutino piovono le polemiche dei sindacati e dei partiti. La notizia che tre sindacalisti sono indagati in seguito alla denuncia fatta dal soprintendente del Comunale (con tanto di foto scattate e allegate alla querela) per l'occupazione del teatro fa infuriare non solo la Cisl, ma tanto la Federazione per la sinistra in Regione quanto Lega e Udc.
"E allora ci denunci tutti", tuona la Cisl, coinvolgendo nella querela "anche tutti i sindacalisti e lavoratori che hanno partecipato agli oltre 90 giorni di presidio nel teatro" dato che quella iniziativa (avviata per protesta contro la riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche) fu presa in una assemblea unitaria da Cgil-Cisl-Uil e Fials. "Speriamo che questi - commenta il segretario Stefano Gregnanin - siano gli ultimi colpi di coda di chi, finito il proprio mandato, tenta disperatamente di giustificare una propria riconferma".
Di tono simile la reazione della Lega. Marco Tutino "poteva anche risparmiarsi" la denuncia, commenta Manes Bernardini, secondo cui "bisogna sapere gestire certi conflitti quando si ha un certo ruolo, e lui non lo ha mai saputo fare". Anche l'Udc è molto critica; il segretario provinciale Maria Cristina Marri esprime solidarietà "non solo ai lavoratori indagati, ma a tutti i sindacalisti e ai lavoratori che in modo unitario hanno deciso le azioni di protesta da attivare". E come la Cisl, chiede presto una sostituzione al vertice: "Questi reiterati e annosi momenti di tensione che possono aver provocato anche qualche comportamento sopra le righe richiedono un cambiamento essendo ormai evidente che è impossibile la ricucitura tra direzione del Teatro e dipendenti". In un aggettivo, per il consigliere regionale della Federazione per la sinistra Roberto Sconciaforni il comportamento del soprintendente Tutino è "intollerabile".
(27 luglio 2010)
GENOVA – Carlo Felice, il buco si allarga LA REPUBBLICA – Genova
DONATELLA ALFONSO SOLDI per gli stipendi fino a settembre o poco più, e per fortuna che ad agosto il Carlo Felice è chiuso, tutti vanno in ferie e, stipendi a parte, non ci sono spese extra. Mancano infatti altri dieci milioni alle casse del Teatro, oltre ai 15 milioni già certi di deficit. Colpa del fantasma del Fus, cioè del mancato versamento del contributo statale all´inizio dell´anno, pari a circa 11 milioni di euro; se, nonostante i tagli del decreto Bondi, davvero non arrivasse nulla entro la fine dell´anno, il rischio di tirare giù per sempre il sipario si farebbe reale. In attesa di sapere quale sarà il destino, infatti, c´è una certezza sola: che, a parte i soldi dei biglietti incassati, al Carlo Felice è arrivato finora solo un milione da Iride. Ma siccome 400 mila euro sono stati pignorati per cautelare il “rimborso” dovuto all´ex sovrintendente Gennaro Di Benedetto, così come previsto dalla prima sentenza sulla causa post-licenziamento – sulla quale peraltro la Fondazione intende presentare appello – nel borsellino sono a disposizione 600 mila euro: la vita di due mesi o poco più del Teatro e dei suoi dipendenti. E anche la scelta del nuovo direttore artistico – al di là del nome, che potrebbe essere quello di Cristina Ferrari, che tornerebbe quindi a ricoprire il ruolo toltole da Ferrazza – potrebbe slittare alla fine dell´anno. SOLO verso la fine dell´anno, infatti, il Teatro e i suoi vertici, a partire dalla sindaco Marta Vincenzi, presidente del Cda, sapranno se sia possibile pagarsi il “lusso” di un nuovo, congruo stipendio, perché il compenso di un direttore artistico di alto libello difficilmente sta sotto i 100 mila euro l´anno. Si può farne a meno, certo, e il sovrintendente Giovanni Pacor può gestire ad interim i due ruoli; ma ci vuole chiarezza. E non è ancora finita. Ogni esborso in più va comunque bloccato, si sono infatti detti a Teatro: a partire da quanto previsto da un altro, clamoroso contratto. Quello che, che, secondo indiscrezioni, sarebbe stato firmato nel marzo scorso da Ferrazza e Daniel Oren, per cinque nuove produzioni da realizzare tra il 2011 e il 2012, quindi oltre il vecchio contratto – ormai scaduto – e da pagarsi a 18.600 euro a rappresentazione. Quante ne dovrebbero essere messe in cartellone, per ognuna delle cinque opere? Sono queste, secondo le voci che si rincorrono, le pessime scoperte che il neosovrintendente e il suo direttore di staff, Renzo Fossati, hanno fatto “scavando”, come dichiarava la scorsa settimana Pacor a Repubblica, tra le carte lasciate dall´ex commissario Giuseppe Ferrazza, sulle quali lavorano anche i revisori della Deloitte, che dovrebbero concludere entro la fine di luglio il lavoro di revisione di spese e contratti. Proprio dalla gestione di Ferrazza, come ha dichiarato Marta Vincenzi appena due settimane fa, all´insediamento di Pacor, arrivano 4 milioni di euro di deficit in più degli undici di cui già si sapeva, e il problema già si presentava drammatico. L´ex commissario, dal canto suo, aveva parlato di tre milioni di euro mancanti, il che impediva di programmare qualsiasi cosa. Ma quale sia la vera situazione, al di là degli “scavi” di Pacor e Fossati, e delle analisi dei funzionari di Deloitte, è che il rischio di non riuscire ad andare avanti con il Teatro è adesso qualcosa di palpabile. Certo, c´è l´impegno di Riccardo Garrone, ci sono i contatti con altri, possibili soci privati: ma è pensabile che il Teatro possa fare a meno completamente del Fus, il Fondo unico dello spettacolo, cioè il contributo statale? Ovviamente no. Il timore vero che resta sullo sfondo e che riguarda Genova, ma non solo, è che si voglia arrivare a cancellare di fatto le Fondazioni liriche italiane, salvandone una minima parte, quella ritenuta più di spicco, dalla Scala all´Opera di Roma, al Conservatorio di Santa Cecilia, e lasciando gli altri ad arrangiarsi. Altro che una furtiva lacrima.
Ricevo dal sig.Valentino Salvini:
"CARISSIMO STINCHELLI , TI INFORMO CHE A CREMONA STANNO SUCCEDENDO COSE ASSURDE.
1 ) NON VOGLIONO INTITOLARE UNA VIA AL GRANDE ALDO PROTTI .
2) LA NUOVA AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE HA ABOLITO IL FESTIVAL LIRICO ESTIVO. DICONO CHE CI SONO TROPPE SPESE MA LA VIA A PROTTI NON COSTA NULLA! EPPURE FIN ORA NIENTE DA FARE. PUOI FARE UN'APPELLO ALLA BARCACCIA E SOLLECITARE GLI ORGANI POLITICI CREMONESI? GRAZIE!"
Rispondo:
Bologna, Genova, Cremona...Tre situazioni diverse ma tra loro speculari. Tre immagini di una Italia che desta vergogna. Invece di valorizzare ciò che ha di più bello e importante , getta alle ortiche tutto, in nome di non si sa quali altre priorità.
Il maestro Tutino farebbe meglio , ormai, a prenotarsi un Safari o un periodo di meditazione in zona tibetana. Contemplando le vette più alte del mondo potrà forse ripensare ai troppi errori commessi e alla propria incapacità.
A Genova il signor Ferrazza, precedente responsabile amministrativo del Teatro, ha fatto un pò di salti mortali, fin quando ha potuto, occultando buchi in bilancio e offrendo un'immagine facilona e rozza come manager e come Sovrintendente. Ora se ne pagano le conseguenze e sono gravissime. Molta responsabilità va anche ai sindacati che, pur sapendo da anni, hanno taciuto o hanno fatto finta di non vedere. In tempi di crisi non si può più contare su alcun altro fondo che non sia privato: a cosa servivano le Fondazioni se non a questo? Io mi auguro che zio Paperone esca fuori ma è assolutamente ridicolo che si debba, entro sabato, sperare in zio Paperone.
A Cremona farebbero bene a meditare su chi fu Aldo Protti e quanta Arte portò in giro per il mondo, vantandosi sempre- con orgoglio- di essere cremonese. Una strada è davvero il minimo.
Leggiamo oggi su "Repubblica" , edizione di Genova:
Mancano i soldi per gli stipendi Il sovrintendente: "Situazione drammatica"
Carlo Felice, l'ombra della cassa integrazione. Servono undici milioni subito per non chiudere. Aggiornato a sabato il consiglio di amministrazione
di MICHELA BOMPANI
Al teatro Carlo Felice manca la liquidità. Undici milioni di euro per pagare stipendi, contributi, allestimenti, elettricità fino alla fine dell'anno. E intanto la Fondazione ha fatto slittare ad agosto il pagamento degli stipendi di luglio dei dipendenti.
Nella ricerca di una "exit strategy" dalla "drammatica situazione in cui versa la Fondazione", come la definisce lo stesso sovrintendente Giovanni Pacor, spunta l'ipotesi della cassa integrazione in deroga. La riunione di ieri del consiglio d'amministrazione della Fondazione Carlo Felice si è conclusa con la decisione di riunirsi ancora, sabato mattina. Solo allora infatti arriveranno al nono piano i responsabili della Deloitte, la società che sta esaminando tutti i conti del teatro e producendo proposte di soluzione. Ieri è stata presentata la relazione dei Revisori dei Conti, che ha illustrato una situazione davvero drammatica. Il deficit finanziario e il deficit patrimoniale si stanno sovrapponendo, entrambi intorno ai 13,5 milioni di euro, insomma le alternative per chi in teatro è esperto di conti sono due: o si trovano finanziamenti privati in fretta oppure si portano i libri in Tribunale.
Anche se l'"ora delle decisioni irrevocabili" sarà segnata dalla relazione della Deloitte, già ieri all'orizzonte si è profilata una drastica soluzione per i conti del teatro: la Regione potrebbe concedere la cassa integrazione in deroga, così come fa con le aziende che non hanno diritto a quella ordinaria, proprio come nel caso della Fondazione Teatro Carlo Felice. Un'opzione percorribile ma pesante sotto il profilo delle conseguenze: darebbe ossigeno al teatro, ma dovrebbe avere applicazione immediata, per limitare le ripercussioni sulla "produttività" del teatro, nei mesi più densi dell'inizio stagione, in autunno.
Una stagione appesa a un filo, come conferma il sovrintendente Giovanni Pacor: "Aspetto di ascoltare la relazione Deloitte, poi capiremo quali decisioni potremo o non potremo prendere. Oltre alla relazione dei Revisori dei Conti, molto accurata, quella Deloitte include suggerimenti di soluzioni. Solo dopo sabato sapremo se si potrà svolgere oppure no la stagione lirica da ottobre a dicembre".
Gli esperti di bilancio indicano il pericolo che di certo deriverebbe dalla soppressione delle tre opere d'autunno ("Barbiere di Siviglia", "Traviata" e "Opera da tre soldi"): certo si risparmierebbero denari, ma si dovrebbero risarcire gli abbonati, si dovrebbero fare i conti con i mancati ricavi e soprattutto si perderebbero i contributi statali legati al numero di "recite": così, chi lavora con i numeri, calcola che il rapporto costi-benefici indicherebbe più saggio mantenere quest'ultima parte della stagione lirica in teatro. In più, e non quantificabile, ci sarebbe il colpo definitivo al ruolo del teatro in città, in termini di disaffezione del pubblico. Sotto il torrione, il primo problema, quello più urgente, è composto da quegli undici milioni di euro di liquidità che mancano. Anche negli anni passati si erano verificate situazioni analoghe e quei soldi si chiedevano alle banche. Adesso però la Fondazione non ha sufficienti garanzie, e dovrebbe trovare qualcuno che garantisse per lui. Ma chi?
Anche la partita sulla nomina del direttore artistico è stata rimandata, anzi, ieri, neppure affrontata dal consiglio di amministrazione. Un elemento in più per capire che in gioco c'è la sopravvivenza del teatro a partire dai conti. "Non mi sono pentito di aver accettato questo incarico - dice Pacor - io mi sono messo al servizio: adesso ce la mettiamo tutta per riuscire a vincere la sfida. Innanzitutto serve una strada sicura che ci porti fuori da questa drammatica situazione".
(27 luglio 2010)
Commento di Enrico Stinchelli:
C'è assai poco da dire, in realtà. E' già tutto detto nell'articolo che suona come un Requiem, annunciato e ampiamente previsto.
Si invoca l'intervento dei privati, per di più in un momento di crisi. Mi auguro che questi mecenati spuntino fuori dal cilindro ma intanto mi domando:
1. Da quanto si trascinava la questione degli 11 milioni di Euro in rosso??? Dov'erano finiti mesi or sono e perché appaiono adesso come la Fée Carabosse delle Fiabe?
2. Perché nell'ottobre 2009 venne rimosso dal suo incarico il direttore artistico Cristina Ferrari, che stava svolgendo con grande impegno e dedizione un'opera di risanamento e di risparmio? Cosa si è fatto e ottenuto nel frattempo, se non altre lacrime e sangue?
3. Con quale faccia il Sindaco di una città come Genova potrà annunciare la chiusura della stagione lirica per indebitamento cronico e irrimediabile?
4. Ci saranno o no dei responsabili per tale dissesto finanziario, per bilanci tanto sorprendenti (in senso negativo)?
Ecco cosa succede a fare come le 3 scimmie: non vedo, non sento e non parlo. Salvo poi lamentarsi dei tagli ministeriali. Ma quale Ministero, che non sia un Istituto di Beneficenza, potrebbe mai andare a risanare simili buchi neri?
E' una vera vergogna e sono dispiaciuto per i genovesi, che adorano l'Opera per lunga e gloriosa tradizione, e per ci lavora onestamente e con dedizione presso il Carlo Felice.
Il Comunale di Bologna affida come di consueto ai propri cadetti l'onore e l'onere dello spettacolo estivo. Le passate stagioni i titoli prescelti erano stati L'Olimpiade di Leonardo Leo e Madama Butterfly. Quest'anno, modestia e prudenza hanno consigliato alla dirigenza felsinea di orientare gli allievi della locale Scuola dell'Opera verso titoli un poco più abbordabili: la Serva padrona e un'operetta di Offenbach, Pomme d'Api. Titoli peraltro deliziosi e degni di grande considerazione, e che esigono organici e abilità vocali ed espressive, che con maggiore facilità possono trovarsi in un "vivaio" ovvero conservatorio di livello almeno accettabile.
Certo i brutti cattivi e prevenuti compilatori del Corriere sono all'occasione sfiorati dal dubbio che la modestia e prudenza della scelta siano dettate dall'oggettiva impossibilità, da parte del teatro bolognese, di servirsi delle forze di spicco della Scuola, attualmente impegnate in quel di Martina Franca a infondere nuova vita a titoli dimenticati (in primo luogo da sovrintendenti e direttori artistici) del Belcanto. Il dubbio cresce, si rafforza e si sostenta col leggere sul programma di sala che il dittico Pergolesi-Offenbach costituisce una produzione con svariati istituti teatrali di primo piano (Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, dove peraltro l'opera del genius loci sarà presentata nella sua versione francese, Teatro Rossini di Lugo, Festival della Valle d'Itria, appunto, Fondazione Teatro Due di Parma, IUAV di Venezia) e che quindi accampa con qualche fondata ragione (specie economica) pretese di eccellenza, che esulano dall'ambito di normale competenza di una recita scolastica. Come spesso accade il risultato in teatro confligge pesantemente con le ambizioni annunciate dal cartellone e induce ad alcune riflessioni. La prima è che le voci gravi sono estinte o quasi, e non per insondabili misteri di natura, ma per schietti problemi tecnici. Nella Serva il prescelto Uberto, Davide Bartolucci (che approda al ruolo avendo già sostenuto nello stesso teatro parti ben più consistenti, non ultima quella del dottore Malatesta), ha voce non già di baritono Martin, ma di schietto tenore, di contenuto volume perché di insufficiente proiezione, bianca e 'tirata' in acuto (i fa dell'aria "Sempre in contrasti"), al limite dell'udibile in basso (aria "Sono imbrogliato io già"), sempre meno ferma e stabile con il passare dei minuti e l'aumentare della fatica. Inoltre, forse per scelta registica, spesso la linea vocale si piega ad effetti di semplice parlato, non solo nei recitativi ma anche nelle arie ("or questo basti, basti, BASTI!"). Peccati veniali, o quasi, di fronte alla performance di Mattia Campetti, che dopo essere stato un torvo e simpatico Vespone nella Serva passa al ruolo del celibatario incallito di Pomme d'Api, cantando l'elementare parte con voce ingolfata e cavernosa, traballante almeno quanto il francese esibito nei dialoghi parlati. La disinvoltura dell'attore non fa che sottolineare la scarsa tenuta del cantante.
La seconda riflessione riguarda la componente femminile dello spettacolo, che pur esibendo doti vocali più interessanti rispetto alla controparte maschile non è stata comunque all'altezza (non insormontabile) del compito. Lavinia Bini, in particolare, pur con uno strumento di tutto rispetto (nei duetti faceva scomparire il partner), ha emesso suoni poco o nulla appoggiati, in un'imitazione (non sappiamo dire se conscia o inconscia) di quello che oggi passa per modello vocale della categoria del soprano di coloratura, Diana Damrau. Il risultato è che nell'aria "Stizzoso mio stizzoso" basta un semplice la acuto (che per un soprano, che in natura sarebbe assoluto, è una nota centrale o quasi) per indurre la Bini a emettere suoni più vicini allo strilletto che al canto lirico. Quanto alla tenuta complessiva, dopo una prima parte affrontata con l'ausilio della vigorosa natura, il soprano ha cantato con voce molto meno sonora l'arietta patetica "A Serpina penserete", parodia della vocalità dell'opera pastorale, finendo per indebolire la scaltra seduzione attuata dalla servetta. Anna Maria Sarra, in Pomme d'Api, ha cinguettato graziosamente la parte di Catherine, di scrittura prevalentemente centrale e quindi poco o nulla udibile già dalla metà della non foltissima platea. Entrambe le signorine sono spigliate nella recitazione (pur con qualche incertezza da parte della Sarra nelle primissime scene dell'operetta), ma come per i signori, anche questa è lungi dall'essere una circostanza attenuante circa la tenuta del loro canto. Un discorso a parte merita Francisco Brito, che canta la parte del tenore in Pomme d'Api con eleganza, ma anche con voce debolissima al centro, più sonora ma anche chévrotante e di dubbia intonazione nelle parche escursioni all'acuto (con un paio di puntature discutibili, per gusto ma soprattutto per risultato), legato poco o nulla consistente. Anche in questo approccio all'archetipo del tenore di grazia non si fatica a rintracciare un modello, quello di Juan Diego Florez. Del resto non è strano che un giovane cantante tenti di imitare il più quotato tenore belcantista del mondo. Sarebbe peraltro compito dei suoi tutori proporre al giovane cantante altri e diversi modelli di canto. Alla testa dell'orchestra del Comunale in formazione da camera, Salvatore Percacciolo ha diretto con poca verve e qualche sbavatura (specie nell'intermezzo pergolesiano), senza rendere un grande servizio alla musica. Forse un direttore più navigato avrebbe saputo trarre maggiore partito dai virgulti della Scuola dell'Opera. Allestimento anche questo "accademico" (scene di Giada Tiana Claudia Abiendi e Lucia Ceccoli, costumi di Massimo Carlotto, Manuel Pedretti, Vera Pierantoni Giua, luci di Daniele Naldi, regia di Stefania Panighini), decisamente cupo per la Serva, vista come un triangolo erotico fra il morbosetto e lo psicanalitico (Carsen?), ugualmente minimalista ma più scanzonato e ammiccante - e quindi ben più rispettoso del testo - per Pomme d'Api. Pubblico poco folto (malgrado sconti e biglietti omaggi generosamente profusi su Facebook, erano pieni - ma lungi dall'essere esauriti - solo il primo ordine dei palchi e la platea) e successo di cortesia al termine della rappresentazione.
Commento:
La scuola dei giovani a Bologna è nata, lodevolmente, per creare un vivaio operistico, tale da garantire solide leve per il futuro. Simili iniziative dovrebbero essere d'obbligo in ogni teatro, in linea di principio. Si suppone, si presume che vi siano maestri degni preposti a tale compito, tali da assicurare non dico delle scritture al Met o alla Scala dopo due anni di tirocinio, ma per lo meno un decoroso saggio di fine anno. Ciò, a quanto pare, non avviene ed è grave.
Allora: la colpa non può essere ascrivibile agli allievi, che stanno lì per imparare. Di chi è? Dei maestri, certamente ma soprattutto di CHI scrittura i maestri o non li mette in condizione di poter insegnare al meglio delle loro possibilità. Ricordo di aver ascoltato i terrificanti risultati dei "Puritani" di Bellini (un'operina facile facile!!!) affidati a giovani allo sbaraglio. Questa è pura follìa. Follìa autorizzata e pagata.
Ora non si riesce più nemmeno a mettere in piedi una "Serva padrona" e un "Pomme d'Api" decenti.
Che la scuola chiuda se questi sono i risultati oppure resti aperta...ma vengano cacciati i responsabili!