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NICOLAI GEDDA, IL PIU' COMPLETO TENORE MAI ESISTITO
Domenica 17 Maggio 2015 19:52

                                                                    gedda1                      

 

Nicolai Gedda , non ho tema di scriverlo, è stato il più grande tenore della Storia

del Canto quando per Canto si intende la TECNICA, il REPERTORIO, lo STILE, la

MUSICALITA'.

                                                                    

Possiamo esercitarci per mesi a misurare i decibel di un Del Monaco o di un Corelli, a

paragonare i preziosi velluti di un Di Stefano o di un Carreras, la musicalità sorgiva di un

Wunderlich, lo squillo di un Lauri Volpi o di un Filippeschi, il fraseggio e l'estensione di un

Kraus....ma quando si deve parlare di un tenore completo, di un artista capace di cantare

TUTTO e quando dico tutto intendo dire tutto ciò che una voce di tenore possa cantare,

da Caccini a Haendel, Bach, Mozart, Rossini, Bellini, Verdi, Puccini, Strauss, Wagner ,

senza dimenticare lo smisurato repertorio liederistico eseguito in 10 e passa lingue

diverse, di cui 8 parlate fluentemente, passando dal repertorio leggero a quello

drammatico....beh, quel Tenore con la T maiuscola si chiamava Nicolai Gedda.


                                            

 

 

Quando lo conobbi, avendolo ospite in trasmissione dal vivo e più volte a telefono, capii

perchè era Gedda: una persona umilissima, ingenua, buona, schiva, persino timida. Mi

ricordò subito Kleiber e Abbado, stesso segno zodiacale (il Cancro) , stessa grandezza

compresa nella semplicità e nella nonchalance. “Volete uccidere Gedda” disse con voce

da bambino quando dovette affrontare un corridoio gelido per entrare negli studi di via

Asiago, e scappò verso l'uscita. Io e il mio collega Suozzo dovemmo inseguirlo e

riaccompagnarlo dentro, come si fa con i bimbi capricciosi. Giunti in studio, 5 minuti prima

di iniziare il programma a lui dedicato, disse mestamente : “Parliamo di Pavarotti....oggi

parlerò di Pavarotti....chi conosce Gedda....” . Noi eravamo esterrefatti e dai a

convincerlo: “Maestro...lei è l'ospite....dobbiamo parlare di lei....”.......”Ma no” insisteva lui

“Parliamo di Pavarotti!” ….”Maestro, mancano due minuti....scelga il primo brano da

ascoltare...” e gli mostrammo una rosa di incisioni memorabili, tra cui l'Elisir con la Freni,

la Butterfly e la Carmen con la Callas e Karajan, il Faust, il Werther e la Manon con la De

Los Angeles (sua partner ideale) , il Lohengrin, il Rosenkavalier, i Puritani con la Sills

(unico a eseguire il fa sopracuto com'è scritto, fraseggiato!) e giù una montagna di

dischi... Lui...tenendo il muso...” No...no...”....poi guardò nel mucchio e senza dire nulla

puntò il dito su quella che a suo (e anche a mio) parere è la registrazione più

straordinaria, l'aria “Magische Toene” dalla Regina di Saba di Goldmark, paradigma del

suo canto perfetto. Aveva scelto quella....perchè come tutti i Saggi ...:  sapeva.

                               

La  voce  in teatro  era  esattamente  come nei  dischi:  morbida, brillante, tutta  avanti,

sonora  nei  pianissimi  quanto  negli acuti  , in particolare  il  si  naturale  nell'aria  di

Hermann  nella  Dama  di  picche  di  Cajkovskij  mi  impressionò per  come invadeva

la  cavea  dell'Opera  di  Roma  (e  Gedda  aveva  più di  70 anni) . Il suono  era  sempre

pulito, limpido, mai  un'oncia  di  fibra. L'interprete  era  parimenti  sublime: lo stile

impeccabile  ma  per  nulla  freddo  (com'era  stato accusato  ingiustamente  da  quel

simpatico lestofante  di  Celletti)  anzi...simpatico  e spigliato  nell'Operetta  o  come

Nemorino  per  esempio, ma  tragico  intenso  e  commovente  nel suo  insuperato

Lensky  in Eugenio Onieghin  o  come   Falso Dimitri  in Boris  Godunov.

 

                                

 

Gedda è stato il più grande perchè aveva il dominio assoluto del suo strumento. Senza la

tecnica non esiste interpretazione. La sua voce aveva la libertà del suono, lo svincolo

totale dalla carne ..dalla materia. Era un suono fuori dal corpo, a tratti immateriale.

Poteva passare dal pianissimo più sussurrato a si naturali, do e re sopracuti perforanti,

ultrasuoni quasi. Il fa sopracuto dei Puritani aveva la stessa morbidezza di un fa centrale,

non esisteva la spinta, tutto era sul fiato e sulla parola, cantasse in italiano, russo,

francese, tedesco, inglese, spagnolo o svedese. Proprio per questo il repertorio fu

smisurato e la longevità straordinaria. Ottantenne possedeva ancora la freschezza e

l'agilità di un trentenne, vocalmente parlando: l'aubade da Le Roi d'Ys scorreva al Teatro

Ghione come un ruscello, con tutti i suoni al loro posto. Poteva cantare tutto ciò che

l'Autore prevedeva, segno per segno, forcella per forcella: nell'Aria al Microscopio, la

rubrica dei confronti vocali in Barcaccia, è sempre stato il vincitore. Gedda, la  Callas,

Fischer Dieskau....la  Santa  Trinità  del Canto.

 

                                      

 

Sensibilissimo, lo vediamo piangere dopo la Furtiva lagrima al Met , nel concertone del

Centenario, e sinceramente viene da piangere anche a noi pensando che questo Genio

ha  passato una vita intera al servizio del Canto , ma quello giusto...quello vero.

 

                                                

 
HASTA SIEMPRE, CARMEN
Domenica 10 Maggio 2015 13:11

 

                                     carmen_livermore1

Una Carmen colorata, vivida, brillante ispirata al violento erotismo che sprigiona Cuba

:questo è lo spettacolo creato da Davide Livermore, ormai ospite aficionado del Carlo

Felice e uno dei  più grandi registi  d'Opera  in attività. 

Un grande lavoro soprattutto per Coro , Balletto e Comparse ma sottolineato 

anche dagli aspetti forti dei singoli caratteri, per “raccontare la storia” di Carmen, Don

José , Micaela in una maniera nuova, certamente non consueta. Livermore è persona

colta , musicista (Deo gratias) e non sovrasta con le ossessioni tipiche di taluni registi di

area anglosassone la drammaturgìa , limitando le citazioni rivoluzionarie all'essenziale. Il

palcoscenico del Teatro Carlo Felice è finalmente sfruttato in ogni sua possibilità tecnica,

con un bellissimo effetto caleidoscopico nell'atto finale, con la Plaza de Toros che ruota a

vista estraniandosi dal tragico duetto Carmen- Don José.

 

                         

Uno spettacolo giustamente applaudito e apprezzato dal folto pubblico del Carlo Felice e

molto ben recitato dal Coro e dai solisti di canto: in primis Sonia Ganassi, impegnata in

un tour de force scenico che ben poche colleghe avrebbero retto con tanta forza e

concentrazione. Con questo ha ovviato a un phisique-du-role non certo ideale e a un

trucco che ne appesantiva un po' troppo i tratti da bambolona emiliana  e trasformandola 

in una via  di mezzo tra Edith  Piaf e  Baby Jane.

                                           carmen_ganassi1

 

Ma la Ganassi ha dalla sua una  sicurezza vocale e un temperamento che le consentono

comunque di primeggiare e di uscire indenne dalla prova forse più impegnativa della sua

carriera.

 


                                                   meli_gamberoni

Splendida la coppia Micaela-Don José , con Serena Gamberoni magnifica sia vocalmente

che come raffinata e intensa interprete. Francesco Meli conferma il suo acquisito lirismo

spingendosi man mano verso una maggior drammaticità: l'aria del Fiore è eseguita con la

consueta varietà di colori, rispettando al 99% il segno scritto. Avremmo auspicato il si

bemolle in pianissimo, come previsto da Bizet (e Meli può farlo) , ma è stata preferita la

soluzione tradizionale in “forte” ,che a mio parere guasta la linea generale voluta per

questa famosissima aria. Quel che conta è che Meli si conferma la più bella voce italiana

oggi in attività e interprete attentissimo, serio, oculato nelle sue scelte.

 

Come Escamillo si è distinto Mattia Olivieri ma avrà tempo e modo per maturare il

personaggio, per ora un po' acerbo (la tessitura è impervia, da vero basso-baritono: il

registro grave va salvaguardato e sicuramente reso più sonoro).

 

Il resto della compagnìa mi è sembrato di tutto rispetto, con qualche suono un po'

schiacciato in alto della Frasquita.

 

                                            carmen_2_livermore

 

 

Nota dolente la direzione d'orchestra di Philippe Auguin, che già in altre occasioni avevo

trovato pesante e demotivato. In Carmen l'effetto “moscerìa” è imperdonabile . Spero non

derivi dalla affermazione fatta da Auguin in una delle interviste (“Bizet un probabile

Wagner francese”) , del tutto priva di ogni fondamento. Auguin, se ciò fosse, sarebbe

caduto in una delle classiche trappole interpretative poste dal wagnerismo: il suono

pesante, denso, i tempi allargati...che sono un colossale equivoco. In Wagner come in

molti autori del suo tempo vi sono tutti i colori, le raffinatezze, i pianissimi richiesti a fronte

dell'enfasi del tutto apparente di molti celebri quarti d'ora. Ah....Karajan....!!!

 

Auguin non ha acceso il fuoco e ha creato con la sua direzione a tratti incomprensibile

(penso al finale del II atto , per esempio) un divario nettissimo con lo spettacolo luminoso

e vibrante di Livermore. Peccato.

                                              carmen_ganassi                                          

 
SILVIA CASARIN RIZZOLO, SUL PODIO CON AMORE
Giovedì 07 Maggio 2015 22:14

                                           silvia_casarin_rizzolo3

Silvia Casarin Rizzolo è la prima donna che salirà sul podio per dirigere la Nona Sinfonia di Beethoven al Teatro Antico di Taormina, il 15 agosto 2015 , concerto inaugurale del festival Taormina Opera Stars, e la Traviata di Verdi, il 18 agosto.

Silvia Casarin Rizzolo inizia giovanissima lo studio del pianoforte, a sedici anni quello della Direzione d'Orchestra con Ludmil Descev (Direttore dell' Opera di Stato di Sofia) e della Composizione con Fabio Vacchi. Debutta come Direttrice all'età di diciotto anni dirigendo l'Orchestra di Sofia in Tournée in Italia. Continua lo studio della Direzione d'orchestra con il M° Gustav Kuhn frequentando i suoi corsi Milanesi con l'Orchestra dei “Pomeriggi Musicali”, e con il M° Myun-Whun Chung all'Accademia Musicale Chigiana di Siena.
Nel 1996 si Diploma in Pianoforte al Conservatorio Benedetto Marcello sotto la guida di Giorgio Vianello con il Massimo dei Voti e la Lode. Dal 1996 al 1998 studia Direzione con il M° Piero Bellugi frequentando i suoi corsi di Alto Perfezionamento a Firenze. Segnalata dal M° Bellugi come nuovo talento, nel 1998 vince la Borsa di Studio del “Lions Club”. Nello stesso anno si Diploma Brillantemente da Privatista in Direzione d'Orchestra e Composizione al Conservatorio G.Verdi di Milano con due anni di Anticipo sul corso di studi.
Nel 2000 incontra il M° Claudio Abbado a Ferrara per la produzione di “Così Fan Tutte” di Mozart e da allora inizia con il Maestro una attività di studio e di collaborazione che continua poi a Berlino per la “Grosse Messe” k. 427 di Mozart e in seguito a Salisburgo per la produzione di “Simon Boccanegra” di Verdi. Nel 2003 durante una tournée della Israel Philarmonic Orchestra incontra il M° Zubin Metha che la invita a collaborare con lui nelle due produzioni di Otello di Verdi e Nozze di Figaro di Mozart al “Teatro del Maggio Musicale” a Firenze.
Dal 1995 ha una speciale corrispondenza epistolare con il M° Carlos Kleiber che conosce alla Scala e da allora diventa suo Maestro e punto di riferimento più speciale, dandole ogni sorta di consigli tecnico-interpretativi prima di ogni concerto o opera.

                         casarin2

 

    Domanda  ovvia  e  un pò  scontata:  perchè  i  direttori d'orchestra  sono principlamente 

    uomini?


    E' un retaggio storico dovuto soprattutto alla mancanza di modelli. Noi donne

    abbiamo come esempi gli uomini, veniamo dopo, siamo delle pioniere nonostante

    vi siano state e vi siano donne bravissime in questa attività. E' un lavoro molto

    faticoso, non si pensi a qualcosa di semplice: non vi sono orari, lo stress è a livelli

    altissimi, il riposo poco, i viaggi continui, ci vuole un fisico e una salute speciali.

    Poi, per le donne si tratta di compiere una scelta di vita precisa, rinunciando alla

    classica impostazione “familiare”, con obiettivi molto egoistici. Per me , tuttavia,

    non è mai stata una rinuncia:io adoro questa professione, che -ripeto-non è per

    tutti. Con questo non vorrei passare  per  una  persona  arida  e  insensibile,

    tutt'altro, sono una inguaribile  romantica e  credo  profondamente  nei  valori

    della  famiglia e  nel  rapporto  tra  uomo e  donna.

 

 L'ambiente artistico è ancora pieno di tabù?  

 

  Le difficoltà ci sono e sono tante. Ti devi inventare tutto, a partire dalla scelta dei  

 

vestiti: abito lungo? Giacca e pantaloni? Non abbiamo che problemi da risolvere,

certo assai meno delle prime donne direttori d'orchestra che , poverette, sono state

pioniere in tutto e per tutto. Oggi c'è una notevole apertura, il miglioramento è

tangibile ma devo ammettere che ho avuto situazioni delicate anche con orchestre

molto importanti.

 

Le armi 'femminili' in casi come questi servono o no?

 

No, non servono a niente. Sono armi molto pericolose, invece. Far musica è un

lavoro molto serio , difficile e importante in cui occorre autorevolezza ma non

autorità.

                       silvia_casarin_rizzolo

 

 

Sei obiettivamente una donna molto bella, davvero non ti è servito?

 

Affatto! Anzi: è stato un grande problema per me. Figurati che sono persino felice

che gli anni stiano passando. Se ricordo i miei inizi...sono stati difficili per non dire

terribili. La bellezza può diventare una barriera, un ostacolo insormontabile in

questo mestiere. La gente pensa immediatamente “ E' bella...ok...ma è brava?”. Se

una è brutta deve essere brava per forza...ma una bella..no.

 

Perchè hai scelto questa strada, com'è nata la passione per la direzione d'orchestra?

 

Tutto è nato per un incidente. La mia passione principale era per la danza classica,

già a nove anni ero bravissima e dovevo iscrivermi all'Accademia della Scala. Poi,

un malaugurato giorno caddi in bicicletta procurandomi un trauma cranico e un

mese di ospedale, fu una tragedia: i medici mi dissero che sarei dovuta restare

ferma sei mesi, senza più muovere un passo. In quei sei mesi decisi di imparare a

suonare il pianoforte e fu proprio la mia insegnante, dopo tre mesi di lezioni, che

mi fece la fatidica domanda: “Ma tu, da grande, cosa vuoi fare?” e io, senza

pensarci su risposi “ Il direttore d'orchestra!”. Avevo 12 anni e non so perchè dissi

così...fu una specie di illuminazione.

 

 

Scorrendo il tuo curriculum spicca l'amicizia personale e le lezioni con Carlos Kleiber, il

mito assoluto...com'è nata questa amicizia?

 

Tu sai bene che è l'allievo che sceglie il Maestro...Tra i video che ho consumato vi è

quello di Kleiber alle prese con la Quarta e la Settima di Beethoven, dopo averlo

visto la prima volta restai ipnotizzata, sentii subito un 'ondata di stima e di amore

per questo Genio. “Devo conoscerlo!” mi dissi e iniziai le ricerche. Certo, cascavo

male, proprio lui che era noto per essere il più schivo e riservato tra gli

artisti...inavvicinabile, inafferrabile. Andai a Vienna, chiesi di lui a destra e a

manca...niente...poi setacciai la Svizzera, in lungo e in largo...nessuna traccia. Mi

prendevano per matta. Finalmente lessi di un Premio che gli sarebbe stato

consegnato alla Scala, a Milano. Mi informai..seppi che la cerimonia si sarebbe

svolta di mattina, presto, per esplicita volontà di Kleiber che evidentemente voleva

evitare curiosi, fans e quant'altro. Arrivai a Milano all'alba, mi appostai all'ingresso

artisti e attesi speranzosa. C'era una vecchietta che mi guardava, incuriosita, poi si

avvicinò e iniziò a chiedermi chi fossi, perchè ero lì. Io le raccontai della mia

ammirazione per il Maestro e della volontà assoluta di potergli parlare , anche solo

un istante. Quella vecchietta era la vedova del grande Gino Marinuzzi, un altro

sommo direttore d'orchestra. Mi prese in simpatia e mi fece entrare con lei, da non

credere. All'interno del Teatro mi trovai a tu per tu con Carlos Kleiber, lo salutai , gli

manifestai la mia ammirazione e gli consegnai una lettera. Lui mi ascoltò con molta

disponibilità , nonostante Cristina Muti cercasse di trascinarlo via, e mi disse

testualmente : “Vedo nei tuoi occhi belle cose...io leggerò questa lettera e tra una

decina di giorni ti risponderò”.

 

 

E così avvenne?

 

Puntualmente, dopo 10 giorni esatti mi arrivò a casa la lettera di Carlos Kleiber, la

prima di una lunga corrispondenza. Lettere straordinarie, dove fioccavano preziosi

consigli, confidenze . Kleiber era un uomo molto insicuro, non usciva mai di casa,

non insegnava, era diffidente, molto solo, strano...”Tu mi scrivi in inglese e io ti

rispondo in italiano” , mi diceva , “ così io imparo la lingua, tu mi correggi e io ti

insegno a distanza”. Potete immaginare come mi sentivo...

 

 

Hai mai pensato di rendere nota a tutti questa corrispondenza?

 

Non lo farei mai, sarebbe come tradire la sua fiducia. Una volta mi disse :” Tu mi

hai scritto la più bella lettera che io abbia mai ricevuto”. Sono cose personali , non

potrei mai profanarle.

 

 

                          

 

Hai lavorato anche con altri grandi: Abbado, Mehta...quali le differenze?

 

Kleiber era un Genio astratto. Mi diceva “Non battere il tempo...è il tuo fisico a

determinare un tipo di suono”, lui era proprio ossessionato dal non dover battere il

tempo. Abbado era diverso: il fraseggio, l'eleganza. Io studiai poi con Bellugi, che

era magnifico per insegnarti la tecnica . Abbado approfondiva molto l'aspetto

interpretativo. Lo conobbi grazie al Maestro Fabio Vacchi, con cui studiai

composizione a Venezia. Fu lui a mettermi in contatto, e devo dire che i due anni

con Abbado sono stati entusiasmanti. Un vero signore, mi dava sempre del Lei, mi

portò a Berlino a lavorare con i cantanti. Lui stava già male e non poteva affaticarsi

troppo sul palcoscenico. Con i Berliner, devo dire, c'era una tensione terribile, un

rapporto durissimo. Proprio nel momento in cui lui avrebbe avuto più bisogno, i

professori si fecero cattivi, antipatici da non credere. Il Simon Boccanegra di

Salisburgo fu qualcosa di straordinario, poi le sue condizioni peggiorarono e non

ebbi più modo di continuare questa incredibile esperienza.

 

Mehta è diverso, come diverso da Abbado è il rapporto con le donne. Dirige a

memoria anche lui ma spesso senza nemmeno conoscere il pezzo! Non ha  mai

 tempo per  studiare. Ecco...Mehta è talento puro. Lui dice : “Se l'orchestra è

brava...tu devi imparare a fidarti”. L'esatto opposto di Kleiber. Devo dire che è bello

vedere e scoprire gli approcci diversi di questi grandi. Mehta è inesauribile:

dirigeva a Firenze l'Otello e aveva una sola giornata di riposo. Tu pensa: si sarà

riposato? Macché!! Saltò sull'aereo privato per andare a dirigere una recita di

Falstaff a Monaco!

 

 

Quali sono i tuoi autori preferiti?

 

Faccio prima dire cosa non amo particolarmente: la musica contemporanea e

l'operetta (che pure ho diretto). Io adoro lavorare con la voce, con i cantanti, un

lavoro molto complesso ma esaltante. Del repertorio sinfonico amo molto Brahms,

Ciaikovskij, Schumann, le composizioni con grande organico. Ho una passione

enorme per Puccini, che è molto nelle mie corde.

 

 

Il debutto a Taormina, come lo vedi?

 

E' un'occasione grandiosa che mi dà tanta gioia. Taormina è uno dei luoghi più belli

che esistano e io adoro il Sud. Diciamo che sono una veneta molto particolare, per

me quello è un luogo magico. Seguendo il tracciato delle notizie ho visto che avete

lavorato benissimo per creare un Festival nuovo, fresco, con tanti giovani e tanto

entusiasmo intorno. Sono molto felice per questo !

 

                                          casarin3

 
STUFANDOT alla SCALA
Sabato 02 Maggio 2015 12:36
Turandot_Rai-5_Expo-2015

 

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Coro di Voci Bianche dell'Accademia del Teatro alla Scala

Produzione dell'Opera Nazionale Olandese, Amsterdam

 

Direttore

Riccardo Chailly

Regia

Nikolaus Lehnhoff

Scene

Raimund Bauer

Costumi

Andrea Schmidt-Futterer

Luci

Duane Schuler

Coreografia

Denni Sayers

Cast


Turandot

Nina Stemme

Altoum

Carlo Bosi

Timur

Alexander Tsymbalyuk

Calaf

Aleksandrs Antonenko (1, 5, 8, 12, 15, 20)
Stefano La Colla (17, 23)

Liù

Maria Agresta

Ping

Angelo Veccia

Pang

Roberto Covatta

Pong

Blagoj Nacoski

Mandarino

Gianluca Breda (1, 5, 8, 12)
Ernesto Panariello (15, 17, 20, 23)

Principe di Persia

Azer Rza-Zada

Prima Ancella

Barbara Rita Lavarian

Seconda Ancella

Kjersti Odegaard

                                 
                                                    turandot_agresta


Non ho ancora visto una sola Turandot in cui al termine dello spettacolo il trionfo non

vada alla Liù. Un incipit che suona profondamente ingiusto nei confronti della bravissima

Maria Agresta, la più bella voce italiana oggi in attività, dolce ed espressiva quanto basta

per meritarsi non solo il trionfo scaligero ma tutti quelli che sta accumulando nel mondo.

Ma Liù non può bastare per l'ultimo capolavoro di Giacomo Puccini, né la magnifica e

attenta concertazione di Riccardo Chailly che inizia alla grande la sua collaborazione con

il Teatro alla Scala.

Altrettanto assurdo è dover constatare che le tre migliori voci maschili in campo fossero

quelle di Carlo Bosi, fantastico Altoum ormai degno di vestire i panni di Calaf, del baritono

Angelo Veccia come Ping, squillante e dalla perfetta dizione, e del basso Tsymbalyuk

come più che corretto Timur, quando per la Turandot alla Scala si auspicherebbero

almeno due protagonisti d'eccezione. Tali non sono stati né Nina Stemme né Alexander

Antonenko, per diverse ragioni.

La prima, pur possedendo un magnifico strumento e risolvendo con quello ogni ostacolo

vocale, ha presentato una dizione e una articolazione delle frasi completamente

inaccettabili a questi livelli: legato quasi inesistente dai suoni medi a quelli acuti, vocali

camuffate o direttamente sostituite (“quel grOdo e quella morte”) , oltre a una

imbarazzante inerzia interpretativa, tale da far pensare che il significato del testo le fosse

sconosciuto.


              turandot1stemme         turandot_scala_stemme


Antonenko, lanciato da Muti nel celeberrimo Otello a Salisburgo (poi a Roma e a

Chicago) , segue le sorti di tanti suoi colleghi del passato (del presente e del futuro):

esordio promettente, semplicemente perchè fresca è la fibra e a posto gli acuti , ma

timbro sostanzialmente lirico e non drammatico (ai tempi dell'Otello si parlò di un buon

Cassio tutt'al più) , adatto caso mai a ruoli come Traviata, Elisir, Bohème se vogliamo, ma

impiegato anzitempo per ruoli troppo onerosi o inadatti. Risultato? Un Calaf morchioso,

petulante, perennemente in lotta con l'intonazione ora vistosamente crescente (per la

spinta) ora calante (per la paura), stecca infelice nel primo si bemolle acuto “Turandot” ,

un forzato “Non piangere Liù” . Meglio nel II e III atto, ma solo per la belluina spinta con

cui ha tirato via i do e i si naturali acuti, un “Nessun dorma” che impallidisce di fronte

all'esecuzione che ne diede un professore del Coro del Maggio, il tenore Nenci, e che

mille altri tenori meno famosi saprebbero cantare meglio. No, questo non è possibile alla

Scala, è bene chiarirlo. C'è persino chi ha rimpianto Bocelli.


                     

                        Il tenore Enrico Nenci,  Nessun dorma



Orchestra e Coro impegnati a 360 gradi e non solo vocalmente, data la complessità di

taluni movimenti ginnici imposti dalla regìa di Nikolaus Lehnoff. Ottima la prestazione dei

complessi scaligeri guidati da Riccardo Chailly in maniera perfetta: suoni smaglianti,

vividi, precisione nell'intonazione, una bella corrispondenza tra buca e palcoscenico.

Molto disomogenee  le  voci delle tre  maschere, con il baritono Veccia (Ping)  e  Blagoj

Nakosky  (Pong) di gran  lunga  superiori allo sbiancato  e  parlante  Roberto Covatta

come Pang.


Salisburghesi, minimali, un po' macabre le scene di Raimund Bauer, abbastanza scontate

se vogliamo, così come l'innocua regìa di Lehnoff, che aveva il gran pregio di limitare al

minimo le sciocchezze oggi tanto in voga. Che pur ci sono state anche in virtù dei

costumi pacchiani di Schmidt-Futterer :in scena abbiamo visto quindi il Mandarino

abbigliato come Beetlejuice, Timur con gli occhialetti di Steve Wonder (perchè non allora

il bastone bianco e il cane lupo?) , le maschere a guisa di omino di Michelin, Turandot

come Crudelia Demon con uno strano boomerang rosso in mano che la faceva sembrare

a tratti una rabdomante impazzita. Diciamo che un po' ovunque aleggiava le Cirque du

Soleil e la nostalgìa per la meravigliosa Turandot di Zeffirelli si faceva sentire, eccome.

Tuttavia  alcune scene sono state  molto efficaci, soprattutto nel  primo  atto, con la

bellissima  invocazione alla  Luna  e  taluni giochi  di  luce e  colore  ben  distribuiti

da Duane Schuler.  Sono allestimenti che  tendono a  somigliarsi  tutti, ma  una

volta  stabilito che  così  ormai deve  essere, si goda  almeno  del  lavoro

attento  e  meticoloso  effettuato sui cromatismi  e  sugli effetti  speciali.


                                          Turandot_2010_-ph-Hans-van-den-Bogaard-6-990x657


Il Finale incompiuto è stato quello di Berio, già eseguito in altre occasioni. Ho cercato,

riascoltandolo, di farmelo piacere ma non ci sono riuscito. Brutto mi parve e brutto  si

confermò: un brodo allungato . Per quanto mi riguarda continuo a sponsorizzare il Finale

di Alfano ma nella prima versione, molto più entusiasmante. Altrimenti si faccia finire

l'opera dopo la trenodìa funebre di Liù.
 


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