A SALERNO UN TEATRO MODELLO
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Venerdì 15 Aprile 2011 08:40

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Il teatro Verdi di Salerno è la più piacevole sorpresa che possa oggi riservare l'Italia musicale. A 30 km da Napoli, che contiene in sé oltre ai problemi di immondizia che tutto il mondo ormai conosce anche il prezioso San Carlo ridotto a una larva di sé stesso, Salerno risponde con un meccanismo virtuoso che assomma le migliori condizioni per far funzionare un teatro d'Opera: poca spesa, massima efficienza, ottima scelta dei titoli e dei cast artistici.

Merito del direttore artistico Daniel Oren e del suo factotum, Antonio Marzullo, e di tutto lo staff di un teatro agilissimo e professionale, che si muove senza sprechi e senza troppe chiacchiere. Un teatro modello.

Reduce dai “Puritani” di Bellini , opera-spauracchio per qualsiasi Fondazione grande o piccola che sia, devo dire di aver respirato nuovamente l'aria del Teatro come dovrebbe sempre essere. Il primo plauso all'Orchestra e al Coro del Teatro Verdi, che mi ha impressionato per la precisione e la qualità: attacchi puliti, strumenti intonati (soprattutto la sezione degli ottoni, impegnatissima in quest'opera) , impatto vocale del Coro notevolissimo , con risultati davvero eccellenti in tutte le sezioni. Si sente che hanno provato ma soprattutto hanno provato bene!

Sul podio Yoram David, che ha aperto molti tagli e ha impresso alla partitura un andamento serrato ma mai soffocando le voci, anzi, seguendo il canto di ogni protagonista con amorevole attenzione.

                           salerno_3 C.Albelo


Arturo, parte acutissima scritta per Rubini, è Celso Albelo, ormai affermatosi come un magnifico tenore belcantista. Il suo modello è Alfredo Kraus e il suo canto è un canto che pensa, come Kraus, ai suoni alti, in maschera. Questa emissione gli consente di controllare il suono in ogni passaggio, anche il più ostico, e di salire vittoriosamente ad acuti e sopracuti, compreso il temibile fa  che Albelo esegue con voce appoggiatissima e miracolosamente omogenea. Nonostante un grave lutto subìto nei giorni che hanno preceduto la Prima, costringendolo a partire per le natìe Canarie e saltando la prova generale., Albelo ha dato prova di essere bravo due volte e merita un elogio a parte per questo.

                                              salerno_4 J.Pratt


Il soprano Jessica Pratt, formatasi alla scuola di Renata Scotto, ha sfoggiato una emissione delicata e agilissima, superando indenne tutti gli ostacoli tecnici e pirotecnici di cui è disseminata la parte di Elvira, con il culmine nella scena della Pazzìa e nel grande duetto del III atto.

Nobile e morbido è apparso il baritono Gabriele Viviani, molto elegante nell'aria di sortita “Ah, per sempre io ti perdei” e incisivo nei passaggi veementi, sia nel duello col tenore sia nel duetto con il basso. Un bellissimo timbro e un artista completo. Consiglierei in futuro di affrontare la parte acuta della sua gamma con meno timor panico e quindi meno spinta: ma credo sia una questione di esperienza e di sicurezza in sé stesso.

Lorenzo Regazzo è stato un Sir Giorgio di grande autorevolezza, attento al fraseggio e di perfetta dizione, applauditissimo nel duetto “Suoni la tromba” assieme al baritono.

Una menzione a parte per la affascinante Enrichetta di Francesca Franci e per le tonanti frasi cantate da par suo da Angelo Nardinocchi.

La regìa, nella più assoluta e didascalica tradizione, era di Riccardo Canessa che si è limitato a narrare la vicenda senza soverchie idee o strampalate soluzioni (cui purtroppo siamo abituati a vedere). Un po' troppo statico il Coro, ma considerando il grande impegno vocale e i limitati spazi del palcoscenico, la resa è stata più che funzionale.

Un enorme e  meritatissimo  successo per tutti .

 
ANNA BOLENA a VIENNA con il Duo Merveille: Netrebko-Garanca.
Recensioni
Martedì 05 Aprile 2011 22:02

                                  anna_bolena__5  A.Netrebko-E.Garanca

 

 

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Anna Bolena di Donizetti da Vienna e trionfa il Duo Merveille costituito da Anna Netrebko con qualche chiletto in più ed Elina Garanca . Con due bellezze così sul palcoscenico ti sei pagato il biglietto e questo vale soprattutto in un'opera spesso, purtroppo, retaggio di figure non certo fascinose.

L'opera viene presentata in versione mutilata: troppi i tagli voluti dal direttore Pidò, che però fa scorrere lo spettacolo senza ulteriori intoppi.

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Belle, sinuose, partecipi le primedonne da copertina: l'acme viene raggiunto nel grande duetto Anna-Seymour ma grandi applausi si prende la Garanca nel secondo atto, disinvolta e aristocratica come una fuoriclasse deve essere. La Netrebko sale con facilità al do e persino al re sopracuto, ha temperamento da vendere e vince nelle cabalette più che nelle arie, dove denuncia ogni tanto qualche fiato corto e parecchie note ingolate. Cade nell'aria più attesa, “Al dolce guidami”, dove la micidiale cadenza la vede stonare clamorosamente e restare senza fiato: alla Scala sarebbe stata fischiata senza pietà, a Vienna passa con le ovazioni. Ma il colore è bello come lei e il personaggio finalmente credibile.

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Ildebrando d'Arcangelo rappresenta un efficace re Enrico , anche se talvolta un po' morchioso.

Il tenore Francesco Meli è quello che avrebbe i mezzi vocali più cospicui e più doviziosi ma è costretto ad arrangiare la parte alla meno peggio da una tecnica che, purtroppo, non ha risolto l'atavico problema della salita oltre il fa diesis : da quella nota in su Meli stringe la gola e non riesce che a raggiungere, spingendo e sudando, note che tutt'al più potrebbe emettere un baritono brillante.Dove sono gli acuti e i sopracuti di Percy? Ma soprattutto: quale destino vocale attende Meli, in prossimità d'un temibile Trovatore? Non nascondo una serissima preoccupazione e mi auguro che questo giovane e valente artista sappia rivedere alcune cose del suo assetto tecnico.

La regìa è nella più assoluta linea di tradizione, con bei costumi ma una certa staticità generale, appena ravvivata dall'impegno scenico del quartetto protagonista.

L'applausometro  segna  il massimo  successo  per  la  Garanca, subito seguita dalla  Netrebko, poi  D'Arcangelo, Meli e  gli altri.

 

 
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Note
Venerdì 25 Marzo 2011 11:26

 

                                                                 


 
A TORINO I "VESPRI SICILIANI" CHE SCUOTONO LE SOPITE COSCIENZE
Recensioni
Sabato 19 Marzo 2011 10:47

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     I VESPRI SICILIANI

 

 

   TORINO , TEATRO REGIO

 

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Non sono mai stato un fautore delle regìe stupide, cioé iconoclaste solo per il gusto di provocare , ma sono completamente a favore delle regìe che esprimono delle idee e le realizzano con coerenza. I “Vespri siciliani” di Verdi allestiti al Teatro Regio di Torino , in occasione del 150mo anniversario del Regno d'Italia (e non dell'Italia Unita, come stoltamente si legge un po' ovunque!), sono il pregevole risultato di un lavoro fatto PENSANDO e ne è autore il regista Davide Livermore, che ha scelto la via dell'attualizzazione.

E' una strada spesso pericolosa ma non necessariamente più difficile: è sempre molto più complicato rappresentare un'opera lirica nei tempi originali e con i costumi previsti dal libretto, immaginate poi i “Vespri siciliani” anno 1282, così come viene per esempio effigiato nel celebre quadro di Hayez.

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Calzamaglie, berretti, alabarde, siamo sinceri: più semplice e familiare la Sicilia di Falcone e Borsellino che quella di Carlo I d'Angiò!

       vespri_2 Noseda e Livermore in scena


Ma il lavoro meticoloso e variegato di Livermore non è semplice affatto: l'intento finale del regista ci è parso quello di denunciare apertamente le condizioni generali dell'Italia oggi, partendo dalla strage di Capaci (1992) e arrivando alla Tv trash delle veline, dei commentatori cinici , del gobbo che colma il vuoto delle idee, della politica e dei poteri forti fatta di maschere di gomma, ipocrite e tragiche. Livermore corre un solo rischio, quello di sorvolare sulla trama in sé dei “Vespri” che, com'è noto, riduce la rivolta siciliana all'ultimo minuto della lunghissima opera mentre incentra tutto sulla vicenda amorosa della duchessa Elena , sorella di Federigo d'Austria, con il giovane siciliano Arrigo, figlio del governatore francese Monforte.

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Non è semplice tenere le fila di questo racconto, così fortemente melodrammatico e diciamolo pure assai poco spettacolare: funziona meravigliosamente la perorazione di Elena nel I atto, che rievoca l'eroica figura della vedova Schifani. Livermore riesce a rendere coerente ogni frase del testo , laddove l'incitazione alla rivolta dei siciliani sembra esattamente riprendere il pensiero disperato della vedova :” ...qui non esiste l'Amore...non c'è più l'Amore...” . Frasi che purtroppo sono scolpite nella memoria di ogni italiano. Un altro straordinario momento è la trasformazione della tarantella , citata da Verdi, in un tragico ballo fatto dalle maschere di gomma, quelle che ci circondano e che ogni giorno vediamo sfilare a Ballarò, a Porta a porta, ad Anno Zero.

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I problemi nascono nel III e IV atto e qui l'idea di Livermore viene penalizzata dal carattere di feuilleton imposto dal libretto di Arnaldo Fusinato. Sì, c'è la mafia, c'è il carcere, c'è Monforte che supplica Arrigo di riconoscerlo come padre affettuoso, c'è il basso Procida, a metà strada tra un rivoluzionario e un picciotto....ma lo spettacolo si ferma, o meglio, subisce una brusca frenata e per fortuna che la splendida musica di Verdi aiuta a colmare ogni eventuale “buco”.
Nel V atto Livermore ritrova il filone giusto e riesce, con somma ironia, a cogliere l'aspetto frivolo e anche disincantato del matrimonio tra Elena e Arrigo: il famoso Bolero (“Mercè dilette amiche”) diventa un'intervista della Diva, con tanto di cronista ebete , il finale propone invece la rivolta del popolo-bue che si toglie la maschera e grida “Vendetta!” , mentre sul fondale appare il monito costituzionale sul popolo sovrano. Insomma, per la celebrazione del 150mo del Regno d'Italia uno spettacolo degno, ragionato, denso di importanti significati.

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Magnifico il cast e considerando che siamo davanti a una delle opere musicalmente più difficili di Verdi, c'è davvero da esultare. Porrei in primis il basso Ildar Adrazakov, sontuoso e musicalissimo Procida, di splendido timbro e magnifica vocalità:a lui la palma del migliore in campo. Gregory Kunde non gli è stato da meno: dopo una lunga carriera rossiniana e belcantistica, giunge al tremendo ruolo di Arrigo con sicurezza tecnica e un perfetto aplomb interpretativo. Qua e là qualche opacità e un po' di stanchezza , assolutamente lecite, ma l'aria , i duetti, il terzetto, i concertati sono risolti da grande professionista e con un impeto che non ritroviamo in molti conclamati tenori verdiani. Nel V atto Kunde esegue il re del duettino con un corposo falsettone, esattamente come si faceva ai tempi di Verdi, e interpola un do al termine del terzetto con Elena e Procida, nota un po' fissa e forse inutile in questo contesto.

Elena era Maria Agresta, che ha rimpiazzato una indisposta Sondra Radvanovsky . Mi è piaciuta molto, nonostante qualche incertezza nel finale dell'aria “Arrigo, ah parli a un core”, in cui per mancanza di appoggio un paio di note si sono incrinate: la Agresta vinse Spoleto nel 2006 e si è in seguito perfezionata con Raina Kabaivanska, che dei “Vespri” fu interprete proprio a Torino, con la regìa di Maria Callas, nel 1973. Una voce molto omogenea , intonata e squillante nel registro alto, sufficientemente agile per risolvere l'aria d'entrata e il Bolero. Deve solo sciogliersi come attrice e pensare più al personaggio, all'espressione.

La Radvanovsky ha cantato , come ho saputo, non bene alla Prima, il 16 marzo. Dalle immagini e dai suoni proposti da RaiStoria , riferiti alle prove, l'ho trovata molto mal messa, con suoni a volte gridati e poco intonati, afflitta da una vibrazione continua (nonostante Noseda le gridasse, mentendo :”Bravissima! Magnifica!” ….ah, la bugìa pietosa ai maestri è concessa, per parafrasare Traviata). Spero si riprenda al più presto, ma ho l'impressione che questo stato di forma non sia dovuto a raffreddori o mali di stagione, piuttosto a uno stress vocale e a un repertorio probabilmente troppo oneroso a fronte di precisi limiti tecnici non totalmente risolti.

Il baritono Franco Vassallo non è andato al di là di una prova decorosa, onesta. Ma la voce ha delle disuguaglianze improvvise, ora troppo chiara ora ingolfata nel tentativo di renderla più scura e imponente. Assenti le mezzevoci, che pur sono richieste nell'aria “In braccio alle dovizie”.

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Di grande livello la concertazione del maestro Gianandrea Noseda: limpida, pulita, chiara, robusta ma mai enfatica, tempi giusti. Solo nell'ultimo atto, il terzetto è andato un po' a ramengo, causa la stanchezza generale e una perdita di concentrazione. Per il resto un'orchestra del Regio in forma smagliante, e così il Coro, che ha recitato la difficile regìa con grande partecipazione e bravura. Non esito a definire il Regio di Torino, oggi, il miglior teatro d'opera italiano.

Successo calorosissimo da parte del pubblico.

 


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