Dopo la brutta performance scaligera di Pagliacci &
Cavalleria rusticana e dopo aver registrato persino
inopinati plausi (non decretati dal pubblico) per la
compagine sbilenca capitanata dal "raccomandato" mr.
Harding e dal regista Martone ho una voglia irrefrenabile
di ascoltare e vedere qualcosa di diverso.
Iniziamo con il finale di "Pagliacci" diretti da Herbert von Karajan, con Jon Vickers e Raina Kabaivanska. La regìa è dello stesso Karajan, all'epoca criticatissima. Dopo ciò che si è visto alla Scala l'altra sera, mi pare un Paradiso:
Alla Scala ha "cantato" José Cura, con i rimasugli di una voce buttata letteralmente al macero da una tecnica inesistente e da un fraseggio sconclusionato, alla "si salvi chi può".
Mi piace ricordare qui una storica esecuzione a Budapest con Luciano Pavarotti e Janos Acs sul podio, in cui vi è un perfetto connubio tra temperamento e aplomb tecnico, così come questa bellissima aria andrebbe eseguita....
Non sono mai stato un fanatico ammiratore del Maestro Riccardo Muti, chi mi conosce lo sa.
Ma di fronte all'insipida, scombinata e persino supponente interpretazione offerta l'altroieri dal super-raccomandato Daniel Harding, chiusasi senza nemmeno un applauso, la versione Muti diventa celestiale e commuove...
...e per festeggiare il compleanno di Placido Domingo, il tenore più sorprendente e prolifico della storia dell'Opera, eccolo nell' "Addio alla madre" ....
Infine un filmato storico, le prove del duetto tra Santuzza e Turiddu alla Scala, con Giulietta Simionato e Franco Corelli. Siamo ai vertici della storia dell'interpretazione operistica, con risultati oggi inimmaginabili...
I fischi piacciono : il regista Martone sorrideva soddisfatto sotto le bordate dissenzienti che piovevano giù dal Loggione, i cantanti ridacchiavano e facevano “ciao, ciao” con la manina , Harding era felice come una Pasqua , il telecronista di Rai5 sorridendo spiegava che alla Scala sono stati fischiati tutti ma proprio tutti e Pierluigi Panza del Corriere della Sera parlava addirittura di “Martone PREMIATO dal pubblico”, un drastico rovesciamento della realtà. Ma sì: facciamoci una bella risata sopra a questi fischi. Del resto, assistendo alle due opere proposte dalla Scala, “il più importante teatro d'Opera italiano” c'era assai poco da ridere: luci cimiteriali, scene modestissime, costumi orrendi quasi vicini allo straccio, una regìa che definire “fessa” vuol dire già lodarla, un direttore d'orchestra che anagraficamente sarebbe giovane ma dirige come avesse 97 anni, un cast vocale lacunoso (a essere gentili). Ma procediamo con ordine.
Lo scandalo della serata se lo dividono a pari demerito il regista Mario Martone e il direttore d'orchestra Harding.
La regìa prende la prima enorme cantonata sul personaggio di Nedda, interpretata da una buona vocalista, Oksana Dyka, dotata da tipica russa di una tecnica solida e sicura, ma completamente gelida e priva di ogni benché minima sensualità. Martone la trasforma in una virago, perennemente incavolata (persino con gli augelli della sua Ballatella) , un misto tra una camionista e una lottatrice di sumo. Addio Nedda, quindi, addio dolcezza e voglia di vivere, addio sex-appeal. Nedda dovrebbe essere una sorta di bersagliera stile Lollobrigida (“Pane, amore e fantasia”) : è una ragazza, brillante, innamorata, determinata .
A una simile Nedda si contrappone un gorilla, un energumeno ma con voce ormai “parlante” e non più “cantante” :José Cura. La prestazione del tenore argentino, causa il continuo ingolfamento dei suoni in cavità non stabilite per il Canto, è stata imbarazzante, tra l'ululato e il rantolo: il personaggio, causa la regìa, inesistente. A un certo punto, dopo il “com'è ver che qui vi parlo!” , Cura minaccia con il coltello a serramanico addirittura uno spettatore nel palco di proscenio, dopodiché gli stringe la mano come a dirgli “Scusami, stavo scherzando!”. I Pagliacci diventano così un'opera comica, ma sì....ecco perché i protagonisti ridono alla fine, tra i fischi.
J.Cura
Le scene di Pagliacci sono platealmente ricalcate dalla regìa di Zeffirelli a Roma, una ventina d'anni fa: la sopraelevata, le mignotte...ops....le escort, TUTTO. Che fai, Martone? Copi?
Ambrogio Maestri ha giocato le sue carte con il vocione e non ha fatto grandi danni, salvo il fatto di risultare estremamente monotono nel Prologo e molto pesante e rozzo nella scena della Commedia, “Quel labbro piiiiio!” è risultato un orrendo cachinno.
Meglio di tutti Celso Albelo come Beppe, un raggio di sole nelle tenebre ma anche lui massacrato dalla insipiente regìa: l'aria veniva cantata in scena, vestito da Rascel quando imitava Napoleone, mezzo infilato in una botola. Orribile.
Silvio cantava ma stonava anche, parecchio, troppo.
Della direzione di Harding si è detto: moscia, insipida, a tratti insensata, imprecisa in moltissimi punti (che brutto gesto, maestro Harding: quel molinare di braccia che sporca gli attacchi e non garantisce mai una tenuta ritmica drammatica, brillante). Mi pare un solenne bluff. Ricordo una sua brutta Traviata, un modestissimo Don Giovanni...cominciano a essere un po' troppe le delusioni.
Passata la bufera di Pagliacci, ecco arrivare Cavalleria....e son dolori anche qui.
La grande idea è quella di svuotare tutto , piazzare una scena di bordello all'inizio dell'opera....ma dove? A Vizzini? Ma di bordelli è costellata la regìa d'Opera da 30 anni a questa parte, in ogni dove: BASTA. Basta bordelli! Ne abbiamo visti fino alla nausea.
Il Coro è schierato, seduto, immobile....pare una foto di gruppo per l'horror movie “The Others” ...brrr...che paura. E che trovata geniale!
Vocalmente sia Licitra che la D'Intino se la cavano più che decorosamente, peccato solo che nel Brindisi e nell'aria il tenore abbia serie difficoltà a tenere l'intonazione e a superare le frasi cardine “ Per me pregate Iddio.....un bacio, un bacio mamma”...
Il baritono Sgura usa troppa gola e tende a calare nell'aria d'entrata: la regìa lo penalizza non poco, creando una sorta di “pennellone” senza arte né parte, piazzato sul palco come un lampione.
Orrenda la scena della Messa “a vista” durante il duettone tra Santuzza e Turiddu, col Coro girato di spalle....di una bruttezza unica.
La migliore in campo: Elena Zilio, una mamma Lucia di grande levatura. Bene anche Giuseppina Piunti, bella e brava come Lola.
L'Intermezzo è passato senza un minimo di abbandono , una stalattite appesa in una vuota caverna: non un solo applauso. E' la prima volta che ascolto e vedo un Intermezzo non applaudito. Bella roba, complimenti Maestro Harding!
Ma tanto loro ridono e fanno “ciao, ciao” con la manina.
Io ho la netta sensazione che sia l'Opera a fare “ciao, ciao” a loro.
Dai, siamo sinceri: a scorrere le graduatorie di merito per insegnare Canto nei Conservatori italiani si stupisce alquanto.
Come forse non molti sanno, i parametri utilizzati per tracciare l'identikit e quindi la classifica meritocratica dei singoli insegnanti (o aspiranti tali) sono essenzialmente tre: titoli di studio, titoli didattici e titoli artistici, cioé cosa i maestri hanno studiato, dove e quanto hanno già insegnato e quali meriti artistici abbiano.
Un maestro di canto dovrebbe essere, in linea teorica: colto, esperto nella didattica e di chiara fama artistica.... in teoria. Perché in pratica esiste un po' di tutto nel “teatrino” dei maestri: c'è l'incolto ma con vasti meriti artistici e un dovizioso curriculum; c'è il coltissimo, plurilaureato, senza alcuna esperienza didattica; c'è il didatta senza alcun curriculum artistico, sconosciuto all'anagrafe. Insomma: un vero e proprio carnevale.
La domanda sorge immediata: come dovrebbe essere un bravo insegnante di Canto?
La mia posizione sull'argomento è abbastanza chiara: per me un buon maestro di Canto deve soprattutto possedere due buone orecchie, una discreta cultura generale, una ottima conoscenza della tecnica canora, una buona esperienza “sul campo” , non solo come didatta ma anche come artista, cioé che abbia calcato le famose tavole dei palcoscenici, che conosca il teatro e la vita teatrale,che possa fare un esempio canoro corretto , che sia onesto e abbia una grande passione per l'Opera e per le Voci. Già....una parola: direte voi.
Ma proviamo a dare un'occhiata alla realtà dei fatti e cominciamo dai Conservatori di Bari, Potenza, Salerno e La Spezia.. Si rimane piuttosto perplessi.
BARI
A scorrere l'elenco barese noto la presenza di tantissimi amici, anche ottimi artisti come Carmela Apollonio , un soprano di magnifica vocalità eclissatasi misteriosamente dal 'grande giro', il baritono Michele Porcelli, che ebbe un buon momento di auge sotto la amorevole tutela del potente agente Strada, fin quando egli rimase in vita; il baritono Stragapede, allievo di Cappuccilli, e ancora Pietro Naviglio, Angela Bonfitto... Poi mi domando: ma com'è possibile che Claudio Ottino e Maurizio Scarfeo, che pure cantano e svolgono una verificabile, costante attività artistica, stìano al 28mo e 29mo posto, superati alla grande dagli assai meno conosciuti :Carla Centi Pizzuttilli,Eleonora Paolicchio, Gerardo Spinelli? La mia è una semplice domanda.
Noto con piacere che Francesco Zingariello è in vetta alla classifica: molti di voi lo avranno applaudito al fianco di Katia Ricciarelli nei suoi più recenti concerti; saranno stati soprattutto questi ad assicurargli il più alto punteggio.
POTENZA
La musica non cambia. Molti sono i nomi illustri: Paolo Coni, il baritono di Muti per tante trionfali esecuzioni alla Scala, baritono di fama internazionale...collocato non al primo , come si potrebbe supporre, bensì al 7mo posto. Davanti a lui alcuni nomi molto noti, nessuno può dire nulla a una artista come Gabriella Morigi o a Paola Romanò; lo stesso Gregory Bonfatti, primo in classifica, è un artista molto attivo e certamente un ottimo insegnante ma è inutile negare che il criterio che determina queste classifiche sia quantomeno singolare e che alcuni nominativi appartengano a tutti gli effetti alla nobile categorìa degli "illustri sconosciuti"..
A scorrere tutto l'elenco, compreso quello dei non idonei, sorge spontanea un'amara constatazione: tantissimi, anche giovani cantanti, cercano di poter entrare come docenti in Conservatorio, data la cronica scarsezza di proposte lavorative.
SALERNO
Il nome più illustre (e sorprendente) è quello di Bruno Praticò, il cui punteggio non lo piazza oltre al 9no posto! E prima di lui: Paola Romanò, Susanna Anselmi, Luciano Di Pasquale,Annunziata Forte, Manuela Bisceglie, Filippo Morace,Antonella Rondinone, Francesco Chiummo.
Da notare una Valeria Esposito, conclamato soprano di coloratura con grande carriera alle spalle, al 37mo posto (!) , cui segue a ruota Francesco Rinaldi Miliani.
LA SPEZIA
Qui abbiamo insegnanti multiformi e multiuso: dal Pop al Jazz al Canto lirico, diciamo “uni e trini”. Salvo i bravi Sergio Bologna e Francesco Piccoli che vengono superati da questi eclettici maestri.