Arena di Verona gremita in ogni ordine di posti per l'inaugurale “Traviata” , con la messa in scena di Hugo De Ana e con Ermonela Jaho nei panni di Violetta, Francesco Demuro come Alfredo e il baritono Vladimir Stoyanov -Giorgio Gérmont. Sul podio Carlo Rizzi.
E' stata questa una delle rare occasioni in cui lo spettacolo, inteso come regìa -scene e costumi nonché coreografìa (la bravissima Leda Lojodice), ha retto praticamente in toto le sorti dell'intero evento. Esattamente il contrario di quello che avviene, purtroppo, nelle frequenti occasioni in cui sono gli artisti a salvare la parte musicale a fronte di un allestimento orrendo e di una regìa folle o, peggio, stupida (vedi recentissimo Trittico di Puccini a Buenos Aires!).
Traviata, Verona 2011
De Ana riempie lo spazio areniano con enormi cornici vuote, meravigliosamente realizzate, e una quantità di fogli, libri, tele, drappi che rappresentano la casa di Violetta in disfacimento ma anche un grande senso di vuoto, di solitudine, di alienazione, quella appunto che avvolge la protagonista dall'inizio alla fine dell'opera. Ci sono scene molto forti: la festa sadomaso del I atto, i fantasmi del carnevale parigino che strapazzano Violetta trattandola come uno straccio, la violenta reazione dei convitati in casa di Flora contro Alfredo, dopo la scena della borsa. E' una Traviata intensa e ricca di dettagli: arricchita da un perfetto gioco di luci e dalle coreografìe estrose, eleganti, raffinate della Lojodice, oltre che dalla fastosità (tipica di De Ana) nel taglio dei costumi . Spettacolare il “Sempre libera” che chiude il I atto, con Violetta appollaiata su una cornice che nel finale inizia a salire, facendola volare esattamente come “dee volar” il suo pensier.
La parte musicale, soprattutto vocale non è stata all'altezza dello spettacolo, complici le prove funestate dai temporali e il carattere acerbo di alcuni artisti presenti nel cast.
La Jaho, lanciatissima, bella donna, ottimo temperamento artistico e perfetto phisique du role, non possiede purtroppo (o non ancora) le doti vocali necessarie per questo ruolo tremendo:la voce non ha particolari magìe timbriche né una estensione speciale (niente mi bemolle alla fine del I atto, ma non è questo il dato grave). Il suo vero problema è che per caricare il suono e renderlo più “importante” tende a spingere e a crescere di intonazione, il che è fastidioso nell'arco di tutta l'opera. I pianissimi, poi, non sufficientemente appoggiati tendono a spezzarsi, cosa che è accaduta al termine del famoso “Addio del passato” sul la acuto di “finì” . Insomma, c'è da lavorare e da mettere a posto varie cose prima di imbarcarsi in imprese troppo più grandi di lei: tuttavia, se saprà meditare con intelligenza e umiltà sulla sua prestazione, avrà certamente modo di migliorare in futuro.
F.Demuro
Stesso discorso, ancor più severo, per il giovane tenore Demuro che ha dalla sua un timbro davvero bellissimo e una straordinaria verve scenica, forse addirittura eccessiva considerando la pericolosità di un palcoscenico come quello veronese. Sta di fatto che correva da una parte all'altra come Speedy Gonzalez, a volte rischiando lo scivolone ...In questo caso troppi suoni aperti e poco sostenuti dal fiato, troppe note incerte, troppi suoni emessi “di gola” e un quantitativo di microstecche oltre il limite di guardia. L'ultimo atto lo ha visto praticamente KO, come un pugile stremato da un lungo combattimento. Se saprà rivedere con impegno e sollecitudine la propria fonazione, garantendosi un solido sostegno delle note e un maggior uso dei risuonatori alti, il tenore Demuro sarà un numero 1 per il repertorio lirico e non solo per Traviata, Elisir e Rigoletto.
Ricordavo più sicuro e squillante il baritono Stoyanov, ma gli acuti di Gérmont, compresa la famosa aria “Di Provenza” non erano a posto, tanto da fargli rischiare opacità e raucedini. Il fraseggio era buono ma molto sommario e monocorde, anche sotto il profilo dell'allure in scena e della scarsa autorevolezza. Quando in Traviata entra Gérmont, con quel tema così grave e solenne, non si può vedere un impiegato delle poste in trasferta.
Tra i comprimari alcune piacevoli sorprese: l'Annina di lusso di Serena Gamberoni, bella e brava oltre il consueto, l'ottimo Nicolò Ceriani come Barone che -detto per inciso- aveva molta più voce e tecnica di Gérmont stesso, il preciso ed elegante Saverio Fiore come Gastone, la sonora Chiara Fracasso come Flora . Non bene il Grenvil ostrogoto di Gustav Belacék (“La tisi non le accUORda che pUOche UooooRRRe”!!!??) e nella norma gli altri: Paolo Orecchia come Marchese, Gianluca Sorrentino e Manrico Signorini.
Il maestro Rizzi, sulla scìa di Toscanini-Muti, ha staccato tempi vorticosi, a tratti forsennati (il balletto delle Zingarelle, per esempio) ma con il risultato di “scollare” spesso il palcoscenico dalla buca. Il I atto , soprattutto nei passaggi dell'orchestra “fuori scena”, è stato un continuum di svarioni ritmici. Però sono andati meglio i passaggi più lirici e gli accompagnamenti delle arie, anche se un po' troppo metronomici. Più respiro, più respiro, più canto...maestro Rizzi, e sarà un bene per tutti. Allontaniamoci da certe “lezioni” che sono più fuorvianti che altro: Verdi è un autore NOBILE, anche le cabalette possono essere eseguite con eleganza e serenità. Molto bene l'orchestra nonostanze le incongruenze di cui sopra e il Coro.
Si registra, alla presenza del Capo dello Stato, un buon successo da parte del pubblico, con applausi per tutti.
Come già era accaduto l'anno scorso, in occasione della grande festa in onore di Zeffirelli, l'Arena di Verona lancia la sua stagione estiva attraverso la rete ammiraglia della Rai e propone un grande spot-spettacolo, concepito secondo la tecnica consolidata del cross-over, mescolando cioè le sacrali melodie operistiche (tratte dalle opere presenti nel cartellone 2011) con gli interventi pop di Zucchero, Morandi & C.
L'effetto è esattamente quello che ormai conociamo da anni, da quando cioè le barriere che separavamo i generi sono state infrante dai medley dei 3 Tenori prima, dal Pavarotti & Friends poi e via via da Bocelli, Filippa Giordano, Alessandro Safina, Vittorio Grigolo e chi più ne ha più ne metta.
Ovvio che una buona fetta dei normali fruitori del genere operistico classico continuino a storcere il naso, esattamente come farebbe in Parlamento una opposizione imbufalita contro la maggioranza , con il nostro sistema bipolare costruito su forti contrapposizioni e con nessun accordo bipartisan. Gli appassionati d'Opera tipici sono appunto una minoranza rumorosa e quasi costantemente incavolata, formata da nostalgici, cultori di nobili e consacrati cimeli, Vestali incallite e anche vagamente comiche nelle loro esagitate manifestazioni.
Questo per dire, se non si fosse ancora capito, che a fronte dei 5 milioni di telespettatori benevoli e tutto sommato interessati a passare una serata davanti alla Tv fatta di musica , si erge la piccola schiera degli incontentabili, molti dei quali si ritrovano a brontolare o a lanciare anatemi sui social networks e nei blog.
Il nodo della questione mi pare proprio questo. Ragionando da appassionato d'Opera, come io sono quanto e più di molti esagitati censori di questo spettacolo, dovrei scagliare la mia pietra con forza: lo spettacolo offerto da RaiUno non è stato uno spettacolo inappuntabile, né memorabile. Brutta la regìa, sia teatrale che televisiva di conseguenza, evidentemente non provata e non collaudata con la dovuta attenzione, brutti i costumi e il trucco degli artisti, scombinata la scaletta, non riusciti e talvolta persino sbracati i testi della conduttrice, Antonella Clerici, la cui rassicurante e un pò ciabattona simpatìa non ha stavolta sortito l'effetto desiderato. L'Opera non è la Prova del Cuoco, tanto per essere chiari, e presentare la Bohème o l'Aida non è come montare una maionese o sbattere due uova in padella.
Tanto cauta e preparata fu la Clerici l'anno precedente, tanto inopportuna e debordante è stata quest'anno : per nulla intimidita dalla situazione e quindi tendente a rompere gli argini, secondo uno schema abbastanza fastidioso di over-acting che alla lunga ha tediato, e non poco, il telespettatore. Inguardabile, poi, quel suo modo di litigare con l'abito da sera argentato, che la rendeva simile a un rollmop, quelle aringhe sotto aceto tanto in voga nei locali Nordsee.
La parte canora ha in parte risollevato le sorti di uno spettacolo nato male, a causa soprattutto dei temporali che ne hanno inficiato le prove. Si è scelta la strada della telegenìa e della gioventù, una strada giusta e necessaria per la televisione e per l'Opera in generale. I rischi ci sono sempre: un giovane, inesperto e senza la dovuta scaltrezza, deve seguire ciò che gli autori suggeriscono . Se l'ordine è quello di saltare nel cerchio di fuoco...In effetti si notava una tragica condizione musicale nei disperati tentativi del maestro Kovatchev di fare andare tutti a tempo. Ma come poteva fare, se la scaletta suicida proponeva in apertura uno dei momenti più difficili del repertorio operistico, il finale del II atto di Bohème??!! Brano non provato o provato male, attaccato non dal Valzer di Musetta ma dallo scopertissimo “Gioventù mia” di Marcello...una follia.... come chiedere a Manrico di cantare subito il do dell' “All'armi!” senza nemmeno due battute di preparazione. L'effetto è stato quello d'un pauroso sbandamento generale, con le grida di Musetta (bella sì, ma con notevoli problemi tecnici), la banda fuori scena che non entra, un via vai impazzito di comparse e coristi, alcuni dei quali non sapevano letteralmente cosa fare. Un delirio.
La linea è stata questa: confusione, indecisione, paura. Lo si leggeva negli occhi del soprano Ivanna Speranza, bloccata come una statua di cera davanti al suo Rodolfo, il tenore Monsalve, dotato di ottimi mezzi naturali ancora da perfezionare con studio e preparazione tecnica, ma comunque in grado di sopravvivere in tanto bailamme e di risolvere con spavalderìa anche una delle più tremende arie d'opera esistenti, la Gelida manina. Autentico terrore negli occhi del baritono Dalibor Jenis, conciato come Poldo di Popeye, e della Giulietta (Rocio Ignacio) appollaiata sul noto balconcino veronese: “Je veux vivre”...a guardarla pareva “Je veux mourir” ….e in effetti alla fine Giulietta morirà. Trucco orrendo: sembrava la mitica Suor Sorriso di Orietta Berti. Strampalata idea quella di affidare la parte di Romeo a un ballerino, che marmorizzato sotto al balcone sembrava un manichino privo di vita e di senso. Non riuscita ,a mio parere, anche l'apparizione del basso Erwin Shrott nei panni di un seducente tanguero, a metà strada tra Escamillo e Mefistofele. I tanghi cantati reggono se la voce è calda e sensuale, sì, ma tenorile. I suoni cavernosi , morchiosi e diabolici offerti da Shrott incutevano terrore, nonostante il tentativo di fare Zorro all'Arena. Quando poi Shrott ha intonato il suo Leporello....ahi ahi....una nuova catastrofe musicale, con l'orchestra totalmente scompaginata rispetto all'interprete. Lo stesso è accaduto in un “tentativo” di finale secondo di Aida, perla nera della serata.
Non mi soffermo sulle esibizioni di Morandi, di Zucchero che ha cantato “Miserere” con il fantasma di Pavarotti (effetto macabro) , dei Modà e di David Garrett col suo incandescente violino strapazzato, forse erano più a loro agio dei colleghi cantanti d'Opera .
Quindicimila spettatori in Arena plaudenti, cinque milioni davanti ai teleschermi....anche questa è andata, come disse Robinson Crusoé aggiungendo una tacca dopo un'altra giornata sull'isola deserta.
Nell'ambito dei festeggiamenti per l'unità d'Italia , o meglio per i 150 anni dalla proclamazione del Regno d'Italia, approda all'Opera di Roma “La battaglia di Legnano” , opera giovanile di Giuseppe Verdi in un nuovo allestimento curato da Ruggiero Cappuccio, regista particolarmente caro al Teatro e soprattutto al vero “reggitore” del medesimo, il maestro Riccardo Muti, la cui ombra aleggia anche in questa produzione come Banquo nel Macbeth.
Ritroviamo infatti un'altra protegée del Maestro nei panni della protagonista femminile, il soprano Tatiana Serjan , impegnata da un decennio e passa in un repertorio che parte da Mozart arrivando al Verdi più drammatico, prossima Lady Macbeth al Festival di Salisburgo, altra roccaforte mutiana.
La voce è piuttosto squillante e imponente, ma affetta da un fastidioso vibrato stretto che alla lunga stufa e fa slittare spesso l'intonazione. Male l'aria d'entrata, molto male la cabaletta, poi via via si è ripresa ed è andata crescendo, ma sempre con i precisi limiti di cui si parlava all'inizio.
Arrigo è un tenore coreano,Yong Hoon Lee, esile nel fisico e piuttosto ingolato nell'emissione, costantemente “indietro” quando si tratta di salire oltre il fa acuto. Le note le canta, il compito lo esegue ma risultare vincenti in questo ruolo “eroico” è un altro conto, oltre che un altro canto.
Emerge il baritono Luca Salsi, dagli accenti giusti ed espressivi, con bella voce nei centri e con acuti efficaci anche se non del tutto a fuoco. Il suo è il personaggio più riuscito insieme al Barbarossa di Dimitri Beloselski, basso che avevamo già apprezzato come Zaccaria nel recente Nabucco.
Comprimari al di sotto del minimo garantito: Tiziana Tramonti si presenta bene sul palcoscenico ma con voce poco udibile, si taccia degli altri e soprattutto del primo Podestà.
Il migliore in campo è il direttore d'orchestra, Pinchas Steinberg, che affronta la partitura alla garibaldina ma senza mai strafare e soprattutto con un'idea nitida e chiara, assolutamente precisa sia negli attacchi sia nell'equilibrio tra le varie sezioni dell'orchestra, in grande forma. Bene il Coro anche se con un inizio non molto preciso, soprattutto per quanto riguarda l'assieme.
Lo spettacolo di Cappuccio è una brutta imitazione del Ronconi di “Nabucco” ed “Ernani” : una strana “pittrice” in bianco spennella tutto il tempo mentre sfilano davanti agli occhi del pubblico riproduzioni in tulle di famose tele , tra cui Delacroix , Velazquez, Mimmo Paladino....una sorta di pot pourri che non sfigurerebbe in un almanacco televisivo, piccolo prontuario per un veloce ripasso di Storia dell'Arte. Trespoli, cavalletti, elmi accumulati da una parte, abiti tra l'impermeabile e la camicia da notte...sinceramente....pareva il magazzino della ditta Rancati , con luci perennemente spente o buie, tra il lugubre e il macabro. Assente la regìa:tutti schierati per foto di gruppo, Coro immobile , cantanti in posa.
All'uscita, lo scarso pubblico ha distribuito applausi per tutti i protagonisti, di più per il baritono e il direttore, qualche buuh per Cappuccio, che ha così rimpiazzato Gabriele Lavia, inizialmente previsto come regista di questo spettacolo.