OPEROPOLI: le immacolate dimissioni a Cagliari
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Mercoledì 08 Dicembre 2010 23:42

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Crisi del Lirico: il soprintendente Maurizio Pietrantonio si è dimesso. Caldo avvistato nel suo ufficio a distruggere documenti

pubblicata da Radio Press il giorno mercoledì 8 dicembre 2010 alle ore 10.36

Maurizio Pietrantonio si dimette dalla carica di soprintendente del Teatro Lirico di Cagliari. Dopo le durissime contestazioni dei dipendenti, ieri ha rimesso il suo mandato nelle mani del sindaco d Cagliari Emilio Floris. “Lascio per affetto, amicizia e rispetto nei confronti della città”, ha scritto in una nota.

 

Intanto il direttore amministrativo Vincenzo Caldo che si era dimesso la settimana scorsa, ieri è stato avvistato nel suo vecchio ufficio in teatro a distruggere documenti. Secondo indiscrezioni avrebbe anche tentato di acquistare il computer che usava a Cagliari e l’avrebbe portato a Napoli, dove si è trasferito.

 

Soddisfatti per le dimissioni di Pietrantonio  lavoratori e sindacati che stanno occupando il teatro Lirico da oltre una settimana. Domani decideranno se fermare la protesta subito o aspettare che le dimissioni siano accettate dal cda.

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Operopoli, continua....Mentre il maestro Barenboim lancia  dal  dorato  podio scaligero  il suo appello affinché  i  tagli  non colpiscano "la  Cultura" , dall'altra  parte  le  fondazioni  italiane  subiscono   la  "cultura  del furto  e del malaffare"  ,  salassate  da  gestioni  furfantesche.

Il  caso del  Teatro  di  Cagliari  è addirittura  paradigmatico: si  può  dire  che dal  1994 non ha  fatto altro  che  subìre una  sistematica  liquefazione  dei  fondi  messi a disposizione dallo Stato, dal Comune, dalla Regione e dalla  Provincia. Questa  si  chiama  : mala  gestione, non esiste un altro  termine. Il  Teatro  visto  non già  come  Tempio  della  Cultura  ma  come  mangiatoia.

Abbiamo  spiegato  più  volte quanto sia facile  creare un deficit  all'interno  di una  struttura  come  un Teatro  o  una  Fondazione:

a) scritture  gonfiate  da  agenzie compiacenti

b) fatture  gonfiate  da  direttori amministrativi compiacenti

c)  appalti  e  acquisti  da ditte esterne

d) costumi  e  scene  particolarmente onerosi

e)  soldi versati al  nero  ad  agenti  e\o   artisti

f)  stipendi  esorbitanti , assunzioni  immotivate

...e la  lista  può  continuare

Intanto  a   Cagliari, dopo  una  serie di  proteste  molto  dure  e  capabie da  parte  dei  lavoratori, giustamente  esasperati  (in  questo il  popolo  sardo  è  particolarmente  tenace) sono spariti di scena, uno  dopo  l'altro, tutti  i  protagonisti  dello sfascio amministrativo: per  primo  il  furbo  direttore  artistico  Massimo  Biscardi, il  vero  Mazzarino  della  vicenda, che  annusata  la  classica  "puzza di bruciaticcio"  ha  abbandonato  il campo  per  primo. Poi  la  coppia  Caldo-Pietrantonio, simili  al  Conte di  Walter  e a  Wurm  della  "Luisa  Miller"  i  quali, vista  la  mala  parata,si  dimettono  cantando  all'unisono  "O  meco incolume   sarai, lo  giuro,  o sul patibolo  verrai  con  me".

C'è  da  chiedersi  ora: dove  andranno?Il maestro  Biscardi  aspira  a tornare  e  lavora  nell'ombra  per  questo,sostenuto  da  almeno un autorevole  membro  del  CDA. Caldo  è  a  Napoli  con la  sua  borsa  carica  di documenti scottanti, Pietrantonio  è  in lizza  per  l'incarico di  sovrintendente....a  Bologna. E  la giostra  continua.  Quanto  al  Teatro  di  Cagliari...il  Sindaco  lancerà  un bando per  il nuovo  incarico...vedremo...

  

 
SCALA 7\12\2010: VALCHIRIA E POLEMICHE
Recensioni
Mercoledì 08 Dicembre 2010 08:44

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Per Sant'Ambrogio alla Scala un Wagner sontuoso e con tutte le migliori prerogative del grande evento: Barenboim sul podio, un cast eccellente , un titolo tra i più rappresentativi dell'intero repertorio melodrammatico.

Colpo di scena prima dello spettacolo: fatto mai accaduto nella storia della Scala, il maestro entra, apre la porticina che lo separa dal pubblico, viene illuminato ad hoc, afferra un microfono e rivolgendosi al Presidente della Repubblica legge il famigerato articolo 9 della Costituzione, ricordando a tutti i presenti che lo Stato dovrebbe tutelare i beni culturali, ambientali e paesaggistici. Ovazione e , sugli applausi, parte l'Inno nazionale.


La polemica sui famigerati “tagli” alla Cultura in Italia dura da molti mesi e in questa occasione vorrei ribadire il mio personale pensiero sulla faccenda che, inutile nasconderselo, in vista di una crisi istituzionale assume i classici , italici caratteri della strumentalizzazione.

Che la Cultura debba essere sovvenzionata dai fondi statali, in misura degna, è cosa ovvia e scontata, sancita dalla Costituzione. Quel che invece non è affatto scontato è che tali sovvenzioni statali debbano essere fonte di lucro per chi amministra i fondi all'interno di un teatro d'Opera, di prosa, di un museo, ec.

Affermo, senza tema di smentita, che in Italia i fondi statali destinati alla cosiddetta Cultura sono stati SALASSATI, in anni e anni di mala gestione. Per una ovvio gioco di vasi comunicanti: più fondi statali = più furti. Non solo. Per chi ha memoria corta varrà la pena ricordare che in Italia sono sempre esistite, da quando è nata l'Opera, lamentele per questioni di danaro mancante, con un'unica sostanziale differenza: in epoca barocca e nell'Ottocento, i teatri venivano gestiti da PRIVATI, siano essi stati mecenati, principi o impresari , cioé persone che investivano e rischiavano di tasca loro! Successivamente quest'onere è passato allo Stato ed è quindi iniziato il famoso “magna-magna”: più mi dai e io più prendo, tanto....paga Pantalone. Vi sono alcune amministrazioni in bancarotta: Genova, Cagliari,Parma, Bologna, Catania, Palermo, Roma, la stessa Scala....continuamente in bilico, con lavoratori immersi nel più totale precariato, sottopagati, sotto utilizzati a fronte di spese enormi, faraoniche, in gran parte non motivate da una amministrazione limpida e legale.

Ciò detto , resta valido l'appello del maestro Barenboim ma non sufficientemente chiaro: perché se la Costituzione italiana obbliga lo Stato a tutelare il patrimonio artistico e culturale, detta Costituzione non presuppone il furto, lo sperpero e il malaffare all'interno delle varie amministrazioni. Che vi sia poi una forte tentazione di politicizzare questi nobili discorsi e usarli a fini propagandistici, mi pare evidente: una visione statalistica del sostegno alla Cultura preclude in maniera antiquata e rigida l'ingresso ai privati, cioé a quegli sponsors che potrebbero da soli sostenere fior di stagioni e fior di spettacoli, con un controllo amministrativo straordinario e molto più severo. Perché in Italia nel mondo se i soldi li metti tu...fai molta più attenzione a come vengono spesi o elargiti.

Concluderò questa premessa sottolineando il fatto che la Scala di Milano ha oggi la massima sovvenzione statale, com'è sempre stato, e che anche il suo sovrintendente farebbe bene a gestire questi fondi con maggior oculatezza e maggior senso del risparmio, soprattutto in un momento di crisi.

Questo, se vogliamo essere equi e giusti e non ipocriti.

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Veniamo allo spettacolo.

Risultato senz'altro positivo ed entusiasmante: Barenboim ha una visione molto lucida e chiara della fitta trama wagneriana, la tenuta della compagine scaligera è stata straordinaria in molti punti topici, dall'attacco del I atto, alla ben nota Cavalcata, al duetto tra Brunilde e Sieglinde, all'addio di Wotan, scegliendo qui un tempo molto disteso come anche nel “Winterstuerme” del tenore, liricizzato fino allo spasimo. Un'orchestra molto compatta, virtuosistica, intonata nel 99% dei casi (un piccolo cedimento alla fine, per mera stanchezza), di rara precisione, partecipe, con quel caore tipicamente italiano nei passi cantabili e nelle grandi melodie distese. Si contrappone a questo Wagner pimpante e baldanzoso il pannello epico, solenne e tesissimo offerto da Thielemann a Bayreuth, l'estate scorsa, che resta a mio giudizio inarrivabile.

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Il cast vedeva emergere la parte femminile su quella maschile: eccezionale la Brunilde di Nina Stemme, solida e sicurissima, una vera regina guerriera, affiancata dalla Sieglinde intensa e partecipe di Waltraud Meier, che sopperisce a qualche lacuna vocale (intonazione calante sugli acuti estremi, usura del timbro) con una arte scenica e un'espressività abbastanza straordinarie. La migliore in assoluto, per tecnica inappuntabile e magnificenza vocale, è stata la Fricka del mezzosoprano Ekaterina Gubanova, oserei dire perfetta in ogni sua frase e in ogni suo accento. Molto bene la compagine delle Valchirie.

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Meno bene gli uomini, a partire dal tenore Simon O' Neill come Siegmund, del tutto insufficiente a causa di una vocalità schiacciata e stretta, nasale, che lo metteva in difficoltà già nel I atto e lo faceva crollare nel II, con tanto di stecca . Pessimo anche il basso Tomlinson come Hunding: d'accordo che il ruolo è da cattivo, ma Wagner va cantato e non urlato né parlato. Wotan è il basso Vitalij Kowaljow, che ha rimpiazzato il defezionario René Pape e molto bene, tanto da non farne sentire la mancanza: la voce è sostanziosa,brunita, rocciosa, forse un po' avara di mezzevoci , soprattutto nel memorabile finale, ma tutta la zona acuta è a posto e Dio solo sa quanto ne abbia bisogno questo personaggio, per giungere vivo alla fine.

Lo spettacolo è stato firmato da Guy Cassiers, con i costumi di Tim van Steenbergen e la collaborazione a scene e luci di Enrico Bagnoli: una regìa tradizionale, essenziale, su una scena forse un po' sacrificata, invasa dalla gigantesca scultura ippica e dagli effetti di luce a volte natalizi. Buone le proiezioni ma quando si ha l'impressione di stare più al cinema che in un teatro d'Opera non è un bell'effetto, soprattutto quando l'opera è lunga e il racconto molto variegato. I costumi non erano un gran che e così il trucco: molto tradizionale la coppia Siegmund e Sieglinde, Hunding vestito da spazzacamino, Wotan truccato a metà tra Conaan il Barbaro e lo scimmione della pubblicità Crodino, la Stemme con un farfallone di stoffa collocato sul fondoschiena, insomma....comprendo le contestazioni che , in modo blando e comunque evidente, sono giunte dal loggione sui responsabili dell'allestimento.


 
OPERA di ROMA: il coreografo Shen Wei vince la causa con il m.Carnebianca
News
Venerdì 03 Dicembre 2010 22:16

                                                                         
  

         

“In data 3 dicembre 2010 era stata pubblicata sul presente sito la notizia di un’azione

legale per plagio intrapresa dal Maestro Carnebianca nei confronti del coreografo

cino-americano Shen Wei. Abbiamo appreso che tale azione si è recentemente conclusa

con una sentenza interamente a favore del Sig. Shen Wei. Il Tribunale di Milano non solo

ha respinto le accuse di plagio del Maestro Carnebianca e riconosciuto che il balletto

“Folding” realizzato da Shen Wei è dotato di autonoma creatività, ma ha anche

condannato il Maestro Carnebianca a risarcire i danni ingiustamente cagionati

all’immagine di Shen Wei attraverso varie iniziative, giudiziali e non, intraprese dallo

stesso nel corso degli anni, ritenute dal giudice denigratorie della personalità e dell’opera

di Shen Wei. La sentenza è ora definitiva, non essendo stata appellata entro i termini di

legge”.

 

31\07\2014

                                                                                                                                                                                   
 
Un moscio Mosé all'Opera di Roma...
Recensioni
Venerdì 03 Dicembre 2010 21:35

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L'Opera di Roma, per varie ragioni che ora spiegherò, non è allo stato attuale un teatro .

Intanto a teatro ci si va abbastanza spesso, soprattutto in una capitale (che non sia quella del Ruanda Burundi, ben inteso): all'Opera di Roma ci si va una volta ogni due mesi, se va bene!

Secondo) un teatro che si rispetti prevede un pubblico silenzioso, educato, se si vuole anche elegante: l'Opera di Roma ha un pubblico rumoroso, ineducato e totalmente inelegante, nei modi e nei costumi.

Terzo) un teatro normale ha una stagione composta da vari titoli, tutti a loro modo importanti. In un teatro normale OGNI PRIMA E' O DOVREBBE ESSERE UN EVENTO. A Roma no: gli eventi sono solo quelli che vedono il maestro Muti sul podio, cioé un paio di volte l'anno, come stabilito dal meraviglioso “pacchetto” inventato dal Sindaco, da Bruno Vespa e non so da quale altro clan.

Quarto) ogni EVENTO che si rispetti in qualunque teatro importante prevede ospiti importanti a una Prima :a Roma, per il Moise di Muti, il top era costituito da Vittorio Sgarbi , dalla nonagenaria Pampanini e dagli agenti dei cantanti, un po' poco...conveniamone tutti.

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Sul podio, dunque, Riccardo Muti detto “IL Maescchtro” . Per l'occasione , temendo di scomparire nella buca come tanti suoi meno illustri colleghi, Muti ha fatto porre un podio rialzato, tanto da poter sorvolare l'orchestra come quelle deità dell'opera barocca, appese alle funi. L'effetto non era bellissimo: dalla platea la silhouette di Muti si stagliava solennemente, a metà strada tra lo Stokowsky di “Fantasia” e Macchia Nera.

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La concertazione del capolavoro rossiniano non è apparsa stavolta fiammeggiante e vivida come in altre esecuzioni mutiane: nel timore di coprire le voci del cast, tutte piuttosto piccole e raccolte, Muti non ha calcato la mano e ha mantenuto l'orchestra al trotto e spesso...al passo. Si aveva l'impressione così d'un Mosé oratoriale, mai terribile ma sempre amabile, cordiale: i balletti e le marce risultavano ilari, tra la tarantella e la quadriglia delle feste paesane, l'effetto banda...complice anche la postura del Maestro era spesso rievocato, soprattutto nel finale del III atto e nell'attacco del Coro del I atto. Ho trovato Muti abbastanza dimesso, forse ha provato poco, forse non è in gran forma in questo periodo o forse un non-teatro come l' Opera di Roma, con la sora Assunta vestita a festa che gli transita dietro con l'ombrello e la busta di plastica o Sgarbi che consulta il suo cellulare nel bel mezzo dei concertati più solenni, non rendono giustizia alla concentrazione e all'importanza dell'evento.

Le voci, poi, così consuete e così poco memorabili: trionfa la Sonia Ganassi come Sinaide ed è il successo di un soprano mascherato da mezzosoprano; un bel successo per il basso Abdrazakov, che canta con gusto e proprietà ma senza tuonare in sala (come Mosé dovrebbe);corretti ma insipidi i tenori, Eric Cutler e Juan Francisco Gatell, entrambi schiacciati e nasali come quasi tutti i tenori rossiniani (che brutta scuola! ). Per il Faraone di Nicola Alaimo concederei una prova di appello, non credo fosse in piena forma : ho sentito una voce non perfettamente a fuoco, forse raffreddata, non infallibile nell'intonazione. Molto bene la Surguladze e non benissimo Anna Kasyan nella difficile parte di Anai, risolta musicalmente ma non vocalmente per quanto riguarda gli estremi acuti, spesso gridati.

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Lo spettacolo era affidato al costoso allestimento di Pier'Alli e , detto in tutta sincerità, ci son parsi soldi spesi male: un Egitto tra Star Gate e Gardaland, con proiezioni assai modeste sullo sfondo e una porta girevole a simulare il muro del pianto o la sala del Faraone. Brutti i costumi, brutti i balletti di Shen Wei (su cui parleremo a parte per uno scandalo denunciato addirittura alla Giustizia) , quasi inesistente la regìa, con tutti impalati in faccia al Maestro come in concerto per soli, Coro e Orchestra. Bissato il celeberrimo “Dal tuo stellato soglio” , con un piccolo incidente sull'attacco  del  bis;  successo alla fine per tutti.

E un giallo, che sveleremo nella prossima nota.

                      

 


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