Se Tremonti taglia, sarà l’ultima stagione scaligera.
Le cifre di un disastro annunciato, non solo per enti lirici e cinema.
La prossima inaugurazione della stagione della Scala, il 7 dicembre, potrebbe essere l’ultima, se saranno confermati i tagli al ministero per i Beni e le attività culturali programmati da Giulio Tremonti e duramente contestati da Sandro Bondi. Se, cioè, il Fondo unico per lo spettacolo – al quale attingono anche gli enti lirici, che pure sono stati oggetto di una combattuta riforma per contenerne i costi – vedrà crollare del 34 per cento il proprio budget, dai circa 402 milioni di euro del 2010 ai 262 del 2011, insufficienti anche per pagare gli stipendi dei dipendenti. Per tentare di scongiurare questo e altri effetti della mannaia tremontiana, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, sta organizzando per la prossima settimana, quando Berlusconi tornerà a Roma, un incontro con i due ministri ormai apertamente duellanti su quello che rischia di diventare il cadavere della cultura italiana.
Il rischio non è remoto. Dal 2008 al 2013 sono stati programmati tagli per un miliardo e 715 milioni di euro (compresi i tagli al Fus) su un totale di circa tre miliardi. Della cifra rimanente, si calcola che circa un miliardo se ne vada in stipendi e in ordinaria gestione (Ici, bollette). Rimane una dotazione del tutto insufficiente a finanziare cinema, teatro, danza, enti lirici, fondazioni, patrimonio archeologico, istituti culturali. Sta inoltre andando a scadenza per inerzia il provvedimento con cui erano stati introdotti, all’epoca di Rutelli ministro, sgravi fiscali per chi produceva film in Italia, con detassazione di una parte degli utili reinvestiti (è il sistema usato in America). Il triennio sperimentale della norma scade a fine anno, e nonostante i buoni frutti (investimento di capitali esteri in produzioni cinematografiche per 49 milioni di euro) non c’è nessun segnale di volerla confermare. E pazienza se la defiscalizzazione degli investimenti è il primo, essenziale passo per attirare i privati e sollevare lo stato.
Non è esagerato, quindi, come fa il ministro Bondi, parlare di condanna a morte del comparto culturale italiano se prevarrà la linea tremontiana del “non è che la gente la cultura se la mangia” (ma il ministro fa sapere al Foglio che non ha mai detto quella cosa). Si può decidere che in Italia non si restaurerà più il palazzo storico che crolla, ma tagliare i fondi a un ente sinfonico significa chiuderlo. Con le cifre a disposizione “l’effetto sarà una valanga di fallimenti”, dicono al Collegio Romano, e sottolineano che altrove (in Francia, in Germania, addirittura in Grecia) tutto è stato tagliato ma i fondi per la cultura no, perché lo sviluppo economico passa anche da lì. E se il mondo dello spettacolo riesce a rendere visibile il malcontento, c’è un altro settore in sofferenza. Quello di decine di piccole e spesso illustri fondazioni culturali, che lo stato finanzia con modesti contributi, destinati a scomparire, con la conseguente chiusura di queste istituzioni. Il criterio del taglio “egualitario” del 35 per cento del budget di ogni ministero è per lo meno dubbio. Un conto è rimandare la Livorno-Cecina, dicono al Mibac, un conto è condannare a morte il sistema culturale “per non voler confermare il budget del 2009, già decurtato del 20 per cento rispetto al 2001. Il costo totale per far vivere 262 istituti culturali è di venti milioni di euro l’anno”. I produttori di mozzarella veneti hanno ottenuto cinquanta milioni grazie a un comma voluto da Luca Zaia.
I nodi sono giunti al pettine e tutto ciò accade, paradossalmente, grazie al deprecato taglio del FUS. Afflitti e depauperati da anni di rubberìe, i teatri italiani sono ora "smascherati" di fronte ai palesi bilanci in rosso, presentati dalle varie gestioni da anni e anni a questa parte.
I tagli, iniqui perché colpiscono la Cultura, diventano virtuosi nell'obbligare a uscire allo scoperto, fuori dal loro bozzolo, coloro che della Cultura hanno fatto strame, servendosene solo e soltanto per interessi personali.Come nei classici funerali mafiosi, piangono gli assassini: i gestori amministrativi e artistici delle Fondazioni lirico-sinfoniche di questo paese e le loro corti, costituite da segretari artistici compiacenti e ruffiani, da agenti conniventi e ricattanti, da tutto un seguito che non sfigurerebbe in un remake semiserio del "Gobbo di Notredame".
Mentre sto scrivendo questa nota,al cosiddetto "Festival di Parma" si sta consumando l'ennesimo sconcio, con un mimo in scena (!) e un giovanotto coreano in buca a sostituire il defezionario Armiliato "last minute". La cosa singolare è che era pure stato rimandato a casa, dopo la scombinata Prima, il tenore Carlos Ventre, prontamente chiamato a sostituire il collega indisposto. Ma si scherza o cosa?
A Roma si elimina dal cartellone l'"Adriana Lecouvreur" (sempre last minute) per far sì di riempire il "Moise" del 4 dicembre, un espediente che nemmeno nei teatrini di provincia! A Genova siamo ai contratti di solidarietà votati da 166 dipendenti su 286, quindi con mezzo teatro inferocito (gli autonomi più 17 voti contrari), a Torino si piange,a Cagliari si esegue "Cenerentola" di Rossini in forma concertante e si allontana dal suo posto il direttore artstico Biscardi, dopo un periodo di malagestione che dura almeno da 15 anni!
A Catania siamo al commissariamento a divinis, a Bologna dopo la capastrofe-Tutino il deficit è da capogiro, a Firenze sono in forse gli stipendi da gennaio!
E di chi è la colpa? Facile attribuirla al Fus: ma come possono essere elargiti fondi pubblici, ottenuti dalle tasse dei cittadini, se questi fondi servono ad alimentare i giochi e le rubberìe dei peggiori gestori del mondo?
Festeggiato da interminabili applausi, commossi e convinti, il “Guglielmo Tell” torna sotto la direzione di Antonio Pappano alla Sala S.Cecilia del Parco della Musica a Roma. Un'esecuzione che potrei definire perfetta per quanto riguarda la concertazione, tersa e lucidissima, e la conseguente prestazione di Orchestra e Coro. Dopo questa ulteriore, memorabile prova , è facile per il cronista affermare che l'orchestra e il coro dell'Accademia Nazionale di S.Cecilia sono oggi le migliori compagini italiane, al livello delle migliori orchestre del mondo.
Pappano e l'Orchestra,Coro di S.Cecilia
Pappano, cm suo solito, imprime uno scatto vigoroso e una scelta di tempi serrata ma il suo Rossini resta un Rossini classico, che guarda cioé più al grande passato costituito dall'idolo Mozart che al futuro romantico, rappresentato da Verdi. Un grave errore, commesso dagli esecutori del Novecento, è stato quello di collocare l'ultima opera di Rossini, scritta nel 1829, alla stessa stregua stilistica del primo se non addirittura del tardo Verdi, con l'effetto di appesantire ed enfatizzare la raffinata orchestrazione rossiniana e costringere la scelta di voci abituate all'Aida, al Trovatore, alla Forza del destino. Il Gugliemo Tell, aggiungiamo, fu presentato ampiamente tagliato fin dalle sue prime rappresentazioni, in certi casi addirittura decurtato della metà! Oggi Pappano restituisce questo formidabile affresco sonoro in tutta la sua magnificenza, rivelato in ogni dettaglio, con un amore e una dedizione assolutamente speciali. A lui il massimo tributo e l'entusiasmo del pubblico.
Antonio Pappano
Veniamo al cast vocale. Luci e ombre com'è ovvio e consueto, in un periodo storico che vede abbastanza depauperato e confuso il grande bacino delle vocalità.
Partirei dall'ottimo trio dei tenori: Celso Albelo, ormai un lusso per il Pescatore che apre l'opera, ha sfoggiato la sua bella ed estesa voce di tenore lirico leggero, dal canto suo Carlo Bosi, nella parte di Rodolfo il capo degli arcieri di Gesler, ha fatto udire in sala la voce tenorile più sonora e penetrante, nonostante la parte da comprimario. John Osborn, last but not least, ha affrontato ancora una volta la tremenda parte di Arnoldo, stavolta con un eccesso di prudenza, per giungere fresco e temprato allo scoglio terribile della scena del IV atto. Nonostante la fantastica sicurezza del registro acuto e sopracuto, la duttilità e l'aplomb stilistico, Osborn ha peccato a mio parere di qualche falsetto di troppo , soprattutto nel grande duetto con Matilde, tanto da risultare più un Conte d'Almaviva che l'eroico antesignano di Manrico. Gli sono mancate cioé le folgori che pur necessitano in una partitura dall'orchestrazione densa e a tratti travolgente. Tuttavia, Osborn ha superato con abilità tutte le difficoltà e ha trionfato in aria e cabaletta del IV atto, ottenendo un successo personale.
Il protagonista era il baritono canadese Gerald Finley, nobile e misurato nell'emissione, chiarissimo nella parola, il quale però è stato poco incisivo nei passi più gloriosi della sua parte, soprattutto nel giuramento finale del II atto. E' la classica voce da perfetto liederista, si avverte dall'attacco alto dei suoni e leggermente fisso sugli acuti, un canto leggermente “manierato” che se avvantaggia l'emissione in certi passi più lirici la penalizza in quelli più veementi, nel duetto con Arnoldo per esempio. Michele Pertusi mi era piaciuto di più e lo stesso Bruson, in una bellissima edizione al Filarmonico di Verona.
M.Bystroem
Matilde era la bellissima Malin Bystroem, una svedesona alta e bionda, fisico da top model, adusa al repertorio mozartiano . Sinceramente una prova che mi ha deluso: per il timbro, che è abbastanza anonimo, per l'assenza di vigore poiché la voce risuona chiara e poco proiettata, per la tecnica, tutta da perfezionare. Ne è risultata una esecuzione non ancora matura, piuttosto incerta seppur musicalmente a posto, con acuti lanciati alla “garibaldina” e agilità sofferte. Tra l'altro (questo è un consiglio per chi vuole stare in scena con eleganza) la bellezza conta fino a un certo punto, conta piuttosto la POSTURA. Proprio perché preoccupata dall'asperità della sua parte e forse dalla vocalità non adatta, la splendida “Barbie” ha cantato con le braccia perennemente mulinanti, tipo direttore d'orchestra, e piegata su un fianco. Non era un bel vedere, tant'è che man mano che l'opera andava avanti ha preso il sopravvento la piccola ma aguzza Elena Xanthoudakis, che cantava Jemmy. Una Dessay in sedicesima, somigliantissima, vincente nei concertati e nel meraviglioso finale, in cui ha umiliato la collega con un formidabile do acuto.
Molto bravo il basso Frédéric Caton come Melchtal, meno bene Carlo Cigni come Gesler, a causa di un registro acuto piuttosto ingolato.Belle le voci di David Kimberg come Leutoldo e Matthew Rose come Gualtiero.Buona Edwige e cioé il mezzosoprano Marie-Nicole Lemieux.
La serata e le prossime due recite verranno registrate e poi proposte in cd dalla Emi.
Ha raccolto una delle più difficili eredità , quella di Maria Callas. A questa alta, robusta signora australiana venne demandato il compito di imbracciare lo scettro del Belcanto e portare all'apogeo un processo evolutivo che proprio la Callas aveva avviato sul principio degli anni Cinquanta, quando dalla sua preziosa ugola uscirono i delicati arabeschi di Elvira nei Puritani ,di Amina in Sonnambula , di Lucia di Lammermoor, le impennate di Norma.
Joan Sutherland fu con la Callas in due storiche occasioni, sacerdotessa in Aida e Clotilde in Norma. Per tutta la vita ricordò queste esperienze come decisive: il contatto con la Divina fu determinante per assumere un onere vocalmente quasi impossibile, il repertorio e la carriera come soprano dammatico di agilità.
La leggerezza e l'estensione di un usignolo ma con la potenza e la forza di una tigre, la cristallina purezza di Amina con lo spessore drammatico di Norma. Una sintesi impressionante che , solo chi ha udito la voce della Sutherland in teatro, può capire appieno. I dischi mostrano infatti una voce sì pirotecnica ed estesa, ma inficiata da una pronuncia anglosassone che non fu mai perfetta e , in certe occasioni, addirittura imbarazzante (si pensi al Monologo di Fedra in Adriana Lecouvreur) . Inoltre nei dischi le frequenze e gli armonici della Sutherland non sono sempre valorizzate come nella cavea teatrale: qui, la voce si espandeva in modo esponenziale, dalle note basse tutte risolte tecnicamente, ai luminosissimi acuti, fino a un mi bemolle che aveva il vigore di una Turandot e la punta adamantina di una Gilda.
Tecnica perfetta, canto sul fiato, maschera utilizzata sempre come imprescindibile conditio sine qua non. Il giovane Pavarotti, prescelto per la stazza inizialmente ma poi adorato per la solare vocalità, dovette tutto alle proficue lezioni con la Sutherland, e lo ammise più volte: da lei imparò la vera tecnica, l'apertura della gola, il "giro" , la parola sul fiato, la postura.
La Sutherland non sarebbe stata mai tale se non avesse avuto al fianco un eccezionale Pigmalione: Richard Bonynge, al quale vanno i sensi del nostro più profondo cordoglio. Lui la costruì nota per nota, allontanandola dalla pericolosa carriera da drammatico e facendole conoscere i meravigliosi, incantati giardini di Armida, in cui le opere barocche , Haendel in primis, guardano a Rossini, Bellini, Donizetti, al primo Verdi, ma anche a Gounod, Meyerbeer, Délibes,Massenet, Bizet.
La Sutherland, dopo la Callas e con la Callas, è stato il più grande soprano drammatico di agilità mai esistito, per ora l'ultimo.
Nella vita, una donna semplicissima, simpatica, un pò goffa, sempre disponibile al dialogo e molto impegnata, dopo la carriera, ad aiutare i giovani con masterclasses e presiedendo concorsi. Un giorno me la ritrovai in ascensore, a Catania: la più imbarazzata e timida era lei, naturalmente.
Intervistata più volte per la Barcaccia ha sempre rilasciato dichiarazioni utili e intelligenti, a volte sorprendenti : Domanda: Il suo più grande Arturo nei Puritani , Risposta: "Gianni Raimondi" ,quando tutti si aspettavano Pavarotti, Gedda o Kraus.
Sapeva bene che non avrebbe aggiunto nulla alla fama acquisita dei più celebri colleghi, e quindi "aiutava" un grandissimo ma misconosciuto come Raimondi. Una gran Signora.
Il monumento più importante di Parma sarebbe Giuseppe Verdi, nonostante i natali bussetani e il rapporto molto conflittuale con la città e con il suo teatro. Non so cosa stìa dicendo ora Verdi dalla sua nuvoletta, assistendo al Festival a Lui dedicato, gestito assai male dal prode e oneroso Mauro Meli e dal suo sodale, il costoso agente Procinsky.Sta di fatto che, nonostante i milioni di Euro piovuti su Parma per sovvenzionare le "mirabili scelte" del sovrintendente, il teatro viaggia ora in deficit e la qualità degli spettacoli rasenta il grottesco.
Fischiato il "Trovatore" inaugurale, ora tocca agli impegnativi "Vespri siciliani" , che non fanno miglior fine.
il loggione di Parma
Il pubblico di Parma, definito da un sinistro personaggio di nome Marchetti ("critico d'arte" , pare) "pubblico di m..." , è in realtà l'ultimo baluardo alla dispendiosa e artisticamente sbilenca gestione del Meli, famoso in Italia con l'appellativo di "Mr Deficit" .
La gente di Parma non ne può più...
ecco una lettera significativa inviata alla stampa dal famoso basso Michele Pertusi , uno dei più importanti interpreti in Italia e nel mondo:
M.Pertusi
Festival Verdi, forti critiche di Pertusi: "Manca un progetto musicologico serio"
Michele Pertusi
Prendo spunto dalle polemiche scaturite in questi giorni in occasione del Trovatore che ha aperto il Festival Verdi per dire la mia come contribuente (sono residente a Parma) e come musicista che non sopporta di essere preso in giro. Si va dicendo, nelle conferenze stampa ufficiali di presentazione del Festival Verdi, che a Parma si esegue Verdi allo stato dell’arte. Questa è una sciocchezza inaccettabile. Cos’è lo stato dell’arte? Forse presentare un Trovatore con i tagli che si operano per tradizione in tutti i teatri? Eseguire le cadenze delle arie non scritte da Verdi? Abbassare la tonalità della «Pira» per facilitare l’acuto finale omettendo intere frasi scritte da Verdi, che a conti fatti sono più interessanti di una nota lunga? Lo stato dell’arte è presentare in un Festival Verdi I Vespri siciliani in Italiano, anche se la traduzione è palesemente mal riuscita, o accettare anche in questo caso tagli su tagli? Questo stato dell’arte su quali basi si poggia? Possiamo chiamare Festival Verdi una rassegna del genere, senza un progetto musicologico serio che dia la via a scelte interpretative nuove, ossia basate sulla conoscenza che oggi abbiamo acquisito su tanti argomenti che non menzionerò per non dare spunti? Cosa si va cercando? Il consenso? Di chi? Verdi ha bisogno del consenso o ha bisogno di una rivisitazione critica seria su cui si potranno stendere le basi per l’interpretazione verdiana nel prossimo futuro? Verdi ha bisogno della cultura del tortello d’erbetta davanti al quale auto-incensarsi fra commensali plaudenti o forse piuttosto sul coinvolgimento di personalità del mondo musicale che facciano conoscere il fenomeno Verdi nella sua totalità? Al critico letterario Marchetti dico che è molto facile accusare il pubblico di maleducazione e usare termini offensivi per commentare la reazione che c’è stata alla prima del Trovatore. Il pubblico di Parma non ha i mezzi accademici per contestare Temirkanov? Allora non li ha nemmeno per applaudirlo. Vogliamo la cultura dell'applauso alla «volemose bbene»? Io non ci sto. Il pubblico paga due volte, con i biglietti e con le tasse, e la contestazione è l'unico modo che ha per far sentire la propria voce. Non nascondiamo magagne dando colpe a chi colpe non ha: facciamo un esame di coscienza e prendiamoci le nostre responsabilità senza «se» e senza «ma». Io credo che il pubblico di Parma sia stato anche troppo buono, non ho tempo per scendere nel particolare tecnico, ma se il pubblico non ha i mezzi per giudicare nello specifico, sa però distinguere il bello dal brutto e quello che si è sentito l’altra sera bello non era di certo. I critici che hanno scritto bene non meritano commenti: l’equazione esatta che, siccome Temirkanov dirige bene Caikovskij «deve» dirigere bene anche Verdi, non solo è ridicolmente antistorica, ma puzza enormemente di tendenziosità. E’ questo un modo per nascondersi dietro alla parola cultura che nel caso in questione, però, ci riempie la bocca e ci disturba le orecchie! Siamo sicuri che un Festival Verdi così presentato e gestito faccia bene alla città? Quante Tac si possono comprare con i soldi spesi per un Festival del genere? Il sovrintendente del Regio è lautamente pagato per assumersi le responsabilità del teatro e del festival; non è sempre colpa degli altri quando ci sono dei problemi e merito suo quando le cose funzionano. Il sindaco, poi, confido che valuti con molta attenzione ciò che sta accadendo e che intervenga con fermezza sulla gestione della Fondazione Regio e del Festival Verdi: credo che Parma gliene sarà per sempre grata. Dove si vuole arrivare con il Festival Verdi? Perchè così com'è non si va da nessuna parte. Verdi va servito, non ci si può servire di Verdi per far vedere che si è più bravi e più belli. Verdi ha bisogno di verità esecutiva, Verdi è una tematica seria, non è circo. Viva Verdi – Viva il pubblico di Parma!"
Ed ecco invece la cronaca in diretta di un giornalista, iscritto al famoso forum Operaclick, riservato agli appassionati d'opera più veementi e anche più sinceri:
Ahahahahah! Mi sono divertito da impazzire.. facevo degli sghignazzi da solo che mia madre di là si è preoccupata ("Oh, ma chi è che fa tutti quegli urli?" "Un po' io, un po' i cantanti d'opera dentro il computer..") E' stato uno spettacolo! Dopo aver visto l'altra sera la 'generale' della Traviata da Bologna, ipotizzavo che anche da Parma lo streaming fosse dello stesso livello. Mai visto prima, quindi un'esperienza che andava fatta. Così mi sono messo lì, armato delle migliori attenzioni. Invece è stato - come dire - un orgasmo multiplo: crasse risate, bei ghigni e cristallini gorgheggi..
Vado a elencare le cose belle per chi non ha visto, che sennò mi dimentico. Capisco sia difficile da credere, ma vi assicuro che non mi sto inventando niente: In diretta c'era da scegliere tra i segnali di due tv parmigiane, immagino in concorrenza tra loro. Io li ho tenuti entrambi, cercando di non perdermi niente. Una ha cominciato addirittura con le due conduttrici nel foyer in pellicciotto (giuro!), come se a Parma stesse nevicando . Non si sa se dietro al pellame ci fosse ancora l'etichetta col prezzo
In mezzo a loro c'era un Donabbondio a officiare la messa, con la stessa, trascinante cadenza di un curato di campagna. Gli ospiti erano più o meno gli stessi (non sia mai rendere una dichiarazia a una delle tv del Ducato e non all'altra): mai vista da 'Drive-in' in avanti una simile sfilata di tromboni, gestiti a un livello di trash da Mago Gabriel. Chiaramente il punto di riferimento, l'icona inarrivabile nello stile di gestione della pletora di interviste era la miglior Millona Carlucci: bella di una sua bellezza da signora, di presenza statuaria e di denti 32 ben lavati, con sempre cose banalotte da dire, ma l'importante è dirle in rapida successione. Il problema qui però era la portata - senza offesa alcuna - un PIZZICHININO PROVINCIALOTTA degli ospiti. Mai visto tanta gente prendersi così sul serio in così pochi metri quadrati.
Quando è arrivata un'ospite da Hong Kong l'hanno mostrata come se venisse da Marte (ricordate Mike quando c'era un concorrente che aveva lavorato in Germania che diceva: "Pensate, parla anche il tedesco!"). Qui è stato d'obbligo l'inglese maccheronico di conseguenza di una delle conduttrici; dall'altra parte se ne sono pilatescamente lavati le mani, affidandosi al gentile-traduttore. Meglio . La sfilata ha compreso l'avvocatone ("Sì, a quella recita ci sarò, sa, signorina mia, giovedì.." consultando la sua agenda mentale; grazie per averne reso partecipi gli ascoltatori); lo scambista internazionale ("Dei giapponesi mi hanno regalato due libri in giapponese" con l'espressione e-mo-che-me-ne-faccio?); il loggionista-che-ne-sa-a-pacchi ("Il tenore si vede che è andato a trovare Bergonzi").
Ma il più bello di tutti, è stato il Donabbondio, che in un impeto ha dichiarato "Ci vedono dappertutto, non solo in tutta la provincia, ma anche da Guastalla e Casalmaggiore", tagliando di netto l'eventuale maori connesso via internet. Quando non si riusciva a finire l'opera, con i gioielli ormai sfrantumati dal ritardo (la gente è uscita a mezzanotte in punto, quattro ore dopo l'inizio annunciato ), sempre lui travestito da Sherlock Holmes, ha annunciato dopo opportune indagini che Armiliato non stava benissimo e (rigiuro!) "..forse anche la Dessì"
E qui entriamo nel vivo. L'opera è stata ripresa nell'audio in modo dilettantesco: i microfoni erano piazzati ai lati del palcoscenico, più o meno nella zona dove stanno i vecchietti del Muppet Show. Inoltre erano puntati male, perchè si sentiva nell'ordine l'orchestra tonante; la marcia delle truppe cammellate ogni volta che qualcuno degli artisti scalpicciava sulle passerelle; i cantanti sovrastare ogni cosa quando si avvicinavano ai bordi destro e sinistro del proscenio. Come se non bastasse, il geniale regista - sperticatamente lodato dagli anchormen/women - ha optato per inopinate quanto inutili passeggiate in platea e sotto i palchi. Quindi ho sentito una volta distintamente un corista fare la parte del Bud Spencer nella corale, quando emetteva i suoni con le dita (ta-ta-bvvvvvvv..)
Quindi grazie alla buona connessione, ho visto bene e sentito bene, ma quello che trasmettevano, cioè un suono pessimo. Ciononostante, è apparsa chiarissima la serataccia generale, di cui chi c'era a teatro è pregato di dar conto al più presto. Prestìa-Procida è stato l'unico a salvarsi un po', ma mica poi tanto. Nucci, la Dessì e Armiliato a mio avviso sono stati pesantemente insufficienti . Poi, se è stata una manfrina quella dell'indisposizione, questo lo sapranno loro. Certo che a Parma tira aria malsanissima in questi ultimi tempi: si ammalan tutti. Alla fine organizzatori e gentile pubblico pagante hanno espresso grande soddisfazione. Mah..
Certo è sembrato pavido non affrontare a viso aperto l'uscita individuale, ma inizialmente solo modello Ricchi e Poveri (i quattro in fila), poi attraverso piccoli test successivi. Per Prestìa applausoni; Nucci applausi (giocava in casa.. eheheheh); Dessì timidina con qualche 'brava', buati Pizzi il regista e direi la scelta di Armiliato di non metterci la faccia da D'Artagnan. Rifletto solo sul fatto che se hanno massacrato il Trovatore, ma come c.zzo doveva essere quella recita, se questi Vespri stavolta sono passati in cavalleria??? Ri-mah..
Come ha detto il Donabbondio alla fine: "Ma domani è lunedì". Inoppugnabile.