Sono profondamente scosso dalla morte di Mario Monicelli, che all'età di 95 anni ha deciso di gettarsi giù dalla finestra dell'ospedale San Giovanni di Roma, dov'era ricoverato per tumore alla prostata. Un gesto magico negativo, l'espressione dell'ultima libertà della sua vita.
Non devo dire io chi è stato Monicelli, cosa ha rappresentato per l'Italia e per il cinema italiano di tutti i tempi. La sua morte è stata degna di uno degli eroi dei suoi film: uno schiaffo alla morte, esattamente come la sfida di Brancaleone incarnato da un eccezionale Gassmann. Suicida a 95 anni, solo Monicelli il Grande poteva uscire di scena così, perché in teatro come nella vita si è grandi per come si entra e per come si esce.
Grazie Mario , per i tuoi capolavori, per la tua carica intelligente e ironica, per il tuo geniale cinismo, per la forza tellurica e dolcissima dei tuoi racconti. E grazie per l'amicizia sincera e disinteressata nei confronti della “Barcaccia” , di cui sei stato più volte ospite, ancora due anni fa per festeggiare assieme i 20 anni del programma. E' stato un onore immenso.
Precipita la situazione del Teatro Lirico di Cagliari: da stasera i lavoratori hanno occupato il teatro dando il via a una giusta, durissima protesta.
Il Teatro di Cagliari, come più volte ho avuto modo di specificare a chiare lettere in questo blog, è in queste condizioni dopo almeno 16 anni di mortificanti gestioni: dal 1994 sotto l'egida di Mauro Meli, nominato in modo truffaldino durante una seduta- blitz convocata di sera , assente il segretario comunale (e quindi illegale) . Come primo provvedimento Meli , che allora era comunista (oggi è un protegé di Confalonieri-Fininvest...quando si dice la coerenza) si aumentò lo stipedio. Fu l'inizio di una serie di nefandezze inenarrabili: dai contratti gonfiati confezionati con il sodale-agente Procinsky, alle incredibili regalìe effettuate ai giornalisti ospiti (le famose vacanze pagate ad Arruga o a Isotta, in cambio di articoli favorevoli), una gestione scanzonata e disinvolta che portò a un deficit di ben oltre 20 milioni di Euro dopo 9 anni di regno, d'accordo con l'altro sodale , il direttore artistico Massimo Biscardi.
A seguito di questo bel periodo nero, ecco sorgere l'astro di Maurizio Pietrantonio,sul quale non mi soffermo poiché la biografia mi è a tutt'oggi oscura, la cui gestione (dopo 6 anni) ha portato ai risultati che ora sono sotto gli occhi di tutti.
Leggiamo dall'UNIONE SARDA:
TEATRO LIRICO. Si fa sempre più difficile la situazione economica della fondazione La banca non anticipa, niente stipendiIndagine interna sul furto. Floris: chi ha sbagliato pagherà Sabato 27 novembre 2010
Emilio Floris, si dice «molto preoccupato». «Il Banco di Sardegna non ha anticipato i soldi. Sto cercando di capire perché».
S i fa sempre più drammatica la situazione del Teatro lirico. Ieri non sono stati pagati gli stipendi di novembre e non si sa quando saranno versati. «Non ci sono soldi», si sono sentiti rispondere i dipendenti che si sono presentati agli sportelli del Banco di Sardegna, tesoriere della fondazione, per riscuotere la paga in contanti. È accaduto anche nei mesi scorsi. Ma se in passato i cassieri spiegavano ai clienti che c’era un ritardo di qualche giorno, questa volta sono stati categorici: «Niente soldi, rivolgetevi ai vostri dirigenti».
FLORIS: «SONO PREOCCUPATO» La notizia si è immediatamente diffusa tra i 239 lavoratori a tempo indeterminato del teatro (ma quelli a libro paga sono di più), che protestano da mesi contro i massimi dirigenti del Comunale, proprio perché li ritengono responsabili del crollo, anche finanziario, della principale fabbrica della cultura dell’Isola. E se anche il presidente della fondazione, Emilio Floris, si dice «molto preoccupato», evidentemente i problemi sono seri. «Il Banco di Sardegna, contrariamente ai mesi scorsi, non ha anticipato i fondi. Sto cercando di capire che cosa è successo». LA DELIBERA DELLA REGIONE Una delle ipotesi è che, come sempre, la fondazione teatrale abbia chiesto alla banca di anticipare i fondi, circa un milione di euro, probabilmente fornendo come garanzia il versamento del contributo di 9,2 milioni da parte della Regione. Ma non essendo stata approvata la Finanziaria, la banca avrebbe detto no, pretendendo garanzie più chiare e formali sugli impegni e sulle date di liquidazione. Certo è che la situazione di cassa è preoccupante anche a causa della mancanza dei 2,6 milioni di provenienza statale che la fondazione ha messo a bilancio e che il ministro dei Beni culturali Bondi ha detto non non aver mai garantito. Gli stipendi dei dipendenti, peraltro, sono ormai una delle poche cose che il Lirico paga puntualmente. Molti artisti che si sono esibiti nell’ultimo anno attendono ancora la liquidazione dei compensi. IL FURTO L’aggravarsi della situazione finanziaria si inserisce in un contesto di malessere appesantito dal misterioso furto scoperto venerdì scorso e denunciato solo avant’eri nel deposito di Monastir, dal quale sono scomparsi motori e meccanismi per il movimento delle scene destinati al teatro del Parco della musica oltre ad alcune scenografie. Ieri il sindaco, molto seccato, ha preteso un’indagine interna. «Voglio una relazione scritta e dettagliata su ogni minimo oggetto che c’era lì dentro, voglio le date di consegna e le bolle di accompagnamento, voglio il nome del responsabile di quel deposito e i nomi di chi ha fatto le singole consegne, voglio sapere se c’è un custode e come funziona la sorveglianza. Posso assicurare che chi ha sbagliato pagherà caro. Sul teatro, al quale non sono mai stato vicino come oggi, non si scherza più». Sul furto, intanto, proseguono le indagini dei carabinieri di Monastir. FABIO MANCA
I lavoratori hanno appreso la notizia dalla stampa confermata poi ufficialmente dal sindaco Emilio Floris che si è impegnato a fare luce sulla questione stipendi. Non è solo questo però a preoccupare i lavoratori ma il futuro del Teatro. Allo stato attuale delle cosa ancora manca la certezza di una programmazione per l’anno venturo ed un serio piano di risanamento del Teatro. Lo stato di agitazione che dura ormai dai primi di ottobre continua e si rafforza con ulteriori forme di lotta.
Questa sera dalle 19.45 avrà inizio un’Assemblea Permanente dei Lavoratori
Alberto Veronesi , direttore d'orchestra italiano, figlio del famosissimo professor Umberto, venga presto nominato Direttore Artistico e Musicale del Teatro Carlo Felice di Genova . Si tratta in realtà di una nomina a scopo benefico, essendo il Teatro in condizioni economiche abbastanza disastrose. Il sensibile maestro arriverebbe portando in dote una cospicua somma (si parla di oltre un milione di Euro), generosamente elargita quale contributo al risanamento delle casse del Carlo Felice.
Stupore e meraviglia ha destato la notizia trapelata a Genova: com'è noto l'incarico di direttore stabile era stato proposto al maestro Fabio Luisi, il quale pur dichiaratosi disponibile a collaborare con il teatro della sua città, aveva anche posto delle precise condizioni sia per quanto riguarda l'assetto del Teatro, sia per quanto riguarda la sua organizzazione interna, specificando inoltre i suoi numerosi impegni all'estero che ostacolavano non poco una sua presenza stabile a Genova.
Veronesi sembrerebbe piovere come la manna dal cielo. Fa fede la gestione illuminata del Festival Puccini a Torre del Lago, trasformatasi sotto la sua guida nella più importante manifestazione musicale estiva al mondo, come si legge in una recente inchiesta stilata dalla rivista specializzata "Opernglass" .Il Festival Puccini è al primo posto, seguito da Salisburgo, Bayreuth e Aix-en-Provence. Con un bilancio in attivo di ben 34 milioni di Euro, il Festival Puccini si è potuto permettere negli ultimi anni i concerti di Bocelli, Angela Gheorghiu , il galà con René Fleming diretto dall'enfant prodige Anthony Arcaini (voci maligne narrano d'un richissimo babbo alle spalle) e il meraviglioso allestimento di "Fanciulla del West" , per la recente ricorrenza pucciniana.
Due significative immagini del meraviglioso allestimento di Fanciulla del West a Torre del Lago.
Veronesi , nonostante l'attività manageriale e il grandioso marketing, non ha trascurato la sua attività primaria, che è quella di maestro concertatore e direttore d'orchestra. Dopo la straordinaria Turandot inaugurale del suo lungo ciclo a Torre del Lago, ancora ricordata per la perfezione e il rigore stilistico dell'ensemble, il maestro milanese ha via via esplorato tutto il catalogo pucciniano, da Tosca a Manon Lescaut, non tralasciando straordinarie scoperte e rilanci nel genere dell'opera verista. A tal proposito risulta decisivo l'Edgar pucciniano con Domingo e i Medici di Leoncavallo, recentemente edito dalla prestigiosa etichetta Deutsche Grammophon.
Attivo per anni con l'orchestra sinfonica siciliana, Veronesi ha regalato serate memorabili agli spettatori palermitani, spaziando da Bach ai contemporanei, in un volo d'angelo che pochi saprebbero affrontare con egual disinvoltura. "Non ho mai sentito Beethoven eseguito così!" ha dichiarato un vecchio abbonato palermitano, in evidente stato di choc dopo la Nona Sinfonia. Identica reazione all'Aquila, quando Veronesi diresse la Nona davanti ai terremotati increduli e commossi.
Apprezzato da tutti gli orchestrali, che vedono nel suo gesto sicuro e chiaro un punto di riferimento essenziale, amato dai cantanti come pochi altri maestri in un secolo, Veronesi è riuscito a conquistare il pubblico americano della Carnegie Hall rimpiazzando nientemeno che la beniamina Eve Queler, direttore principale a New York ed eroina di mille e mille straordinarie stagioni. " Quando canto diretto da lui" ha dichiarato Domingo "mi sento come se il direttore non ci fosse, tanto discreta e leggera è la sua presenza sul podio, ti lascia libero di esprimere tutta la tua arte senza condizionamenti."
Accusato ingiustamente e volgarmente di aver fatto carriera grazie alle raccomandazioni del papà, esimio oncologo ( una malvagia battuta lo definì "Tanto tumor per nulla" ) , Alberto Veronesi si è sempre distinto per la grande preparazione tecnica e la straordinaria memoria, che molti orchestrali hanno definito "superiore a quella di Lorin Maazel".
Alberto Veronesi è la soluzione ideale omeopatica per un teatro in crisi come il Carlo Felice. Quando si tocca il fondo non si può che risalire.
afranio ha scritto:Ho appena letto l'articolo sul concerto di ieri sera sul SecoloXIX a firma P. Albanese e F. Margiocco: com'è possibile che, pur essendo in due, siano riusciti a scrivere una montagna di cazzate così? Fantastici quando scrivono: " ...che in attesa di Alberto Veronesi, ieri ha visto un altro grandissimo sul podio." ALBERTO VERONESI????? PARAGONATO A MEHTA? Ma ce l'avete presente? Qualcuno di voi ci ha mai suonato\cantato? E poi: "Fascinoso come sempre, il già direttore del Festival Pucciniano di Torre del Lago, prima saluta il sindaco MartaVincenzi con un impeccabile baciamano..." E ancora: "Certo, con un’agenda zeppa com’è la sua, accordarsi non è un gioco da nulla. Ma Alberto Veronesi, prima di prender posto nella fila 12, garantisce:«Un buchino in agenda,entro il 2011, per il Carlo Felice lo troviamo di sicuro. È un impegno». Cari amici e colleghi del Carlo Felice, capisco che Veronesi in questo momento sia l'ultimo dei vostri problemi, ma state attenti, gurdatevi bene dal far mettere piede in teatro a certe persone.
Ecco, giusto quello. Avendo assistito ad una seduta di registrazione dei Medici, garantisco che era Domingo che gli diceva cosa fare, e come fare a fare quello che avrebbe dovuto saper fare di suo.
Tempo fa ho assistito a una esecuzione della nona di Beethoven della Filarmonica di Bologna diretta da Veronesi, ne sono uscito traumatizzato. Successivamente mi è arrivato a casa per posta e senza che lo chiedessi un CD della performance suddetta; da quel momento non sono mai più andato a sentire concerti della Filarmonica e quel CD giace sigillato sul tavolo della cucina come monito per evitare eventuali future tentazioni.
L'innominabile ormai sono troppi anni che gravita nel sistema e "papà" vuole assolutamente dargli un posto .A Genova c'è il rischio che ciò possa accadere soprattutto se tale l'operazione verrà congegnata dal sindacato del teatro di riferimento a cui appartiene lo stesso assessore alla Cultura. Questo, dico a chi ne parlava tempo fa, è vero cabotaggio.
Noto finalmente che qualcuno sta toccando con mano...avete letto che belle robe scrivono quelle pillacchere del Secolo XIX? ....avevamo ragione o no, a dire che quel giornale è una barzelletta?
fernando1985 ha scritto:In realtà l'articolo della Bompani è meno forte del titolo: lo si può leggere sulla rassegna stampa dell'ETI, che nonostante la sua chiusura continua a funzionare! http://www.enteteatrale.it/index.php/20 ... rvizio.htm
Dall'articolo suddetto andando al concetto di fondo si evince che il posto di Direttore Artistico del Carlo Felice è stato "venduto" per 1 milione di Euro. Se sia stato un affare, se non dal punto di vista musicale, almeno da quello economico, lo vedremo quando si saprà il compenso del figlio di Veronesi!
Riceviamo questa mail:
Egregio dott. Stinchelli,
La seguo da anni attraverso la Sua trasmissione su Radio3, La Barcaccia, e L'ho sempre apprezzata per la schiettezza e la trasparenza dei Suoi giudizi, spesso taglienti o fortemente ironici ma puntuali, precisi e nella maggior parte dei casi condivisibili.
Mi è sempre piaciuto il Suo modo di dire "pane al pane, vino al vino" , senza guardare in faccia nessuno ma adesso...mi permetta: Lei sta scherzando o dice sul serio?
Lei ha mai ascoltato o visto dirigere il "maestro" Veronesi? Sembrerebbe di no, a leggere il Suo scritto, in cui gli elogi addirittura sono sperticati. Io purtroppo sì, abitando vicino Viareggio ed essendo un assiduo frequentatore del Festival Puccini a Torre. Ebbene, confesso di non aver mai visto e sentito dirigere peggio anzi: non dirigere! Questo signore si agita sul podio ma la sua è una pantomima, l'orchestra va da sola e ,dato che si tratta di musicisti preparati, si salvano alla meno peggio, aiutandosi tra loro.Il Veronesi direttore artistico è, se possibile, ancor peggio del Veronesi direttore d'orchestra: le sue stagioni rappresentano il punto più basso mai raggiunto da questa davvero sfortunata manifestazione, con allestimenti orrendi (la famosa "Butterfly" con gli scarafaggi, la recente Fanciulla...un orrore....) e costosi. Non parliamo dei cast: ho ascoltato delle serate raccapriccianti, di un livello infimo. Al termine di ogni serata abbiamo più volte visto sorridere e salutare gli ospiti il buon babbo, ansioso di coprire i disastri del figliolo.
Ora, questo signore grazie ai danari del padre vorrebbe "acquistare" un incarico a Genova. Ma è mai concepibile una cosa del genere? E Lei, proprio Lei, difende questa scelta, questa ....."cosa"!??
Mi auguro che rinsavisca , altrimenti dovrei annoverarLa con mio immenso rammarico nella lunga schiera dei "venduti"!
Si parla molto di crisi in questi giorni: la spazzatura a Napoli, il governo che vacilla, l'immagine di un paese allo sfascio. Se la si potesse rappresentare musicalmente , “La forza del destino” eseguita a Firenze stasera potrebbe essere una giusta colonna sonora per i servizi che vediamo a “Ballarò” o alla trasmissione di Saviano: tale risulta l'ascolto della diretta su Radio3 dal Teatro Comunale.
Passi la direzione di Zubin Mehta , che è uno specialista verdiano e conosce a menadito la complessa partitura (che ha diretto con eccezionali cantanti da almeno una quarantina d'anni), ma il cast stavolta lascia molto a desiderare, con pericolose cadute sia di Violeta Urmana, Leonora, sia del tenore Salvatore Licitra, come Don Alvaro, ma non immuni da critiche anche alcuni tra gli altri protagonisti .
Duole constatare che una cantante dotata di magnifico timbro e ottima tecnica sia costretta a gridare tutti, ma proprio tutti i numerosi acuti di cui è disseminata la parte: Violeta Urmana , per me, resta un mezzosoprano ed è palese che non regga la tessitura sopranile, soprattutto nel duetto con Padre Guardiano, dove ogni si naturale aveva tutte le laceranti caratteristiche del grido disperato. Il guaio è che quando la voce soffre in alto poi ne risente tutta l'espressione, il canto non è più fluido ma teso, preoccupato e così l'ascoltatore: cosa succederà? Ce la farà? Sono domande che un grande artista non deve far porre al pubblico né deve porre a sé stesso. Un brutto giorno la Urmana decise di non accontentarsi più delle sue splendide Santuzze, Eboli, Azucene e accettò il salto. E' stato un salto nel vuoto e senza paracadute, quasi un suicidio vocale e oggi assistiamo all'immolazione di questa Artista con la A maiuscola sull'altare del melodramma.
La voce balla sulle note di passaggio, i pianissimi o gli effetti di smorzando non esistono, tutto è cantato mezzoforte o forte: fa testo la grande aria del IV atto “Pace mio Dio”, con il famoso passaggio “invan la pace” risolto alla disperata, con un si bemolle stretto , strizzato come uno straccio bagnato.
Per Salvatore Licitra vale lo stesso discorso, con l'aggravante di una tecnica mai del tutto messa a posto. Voce di strepitosa qualità e quantità , forse più lirica che drammatica, gettata in un agone troppo scarso di tenori, Licitra ha alle sue spalle degli ottimi esordi, contrassegnati da tante bellissime recite . La legge del Canto vuole che tutto funzioni finché regge la giovane fibra, poi iniziano le difficoltà se non c'è alla base una tecnica solida e di assoluta affidabilità. Oggi, dopo un lavoro incessante e nei massimi teatri del mondo, Licitra non è praticamente più in grado di modulare la voce con serenità: sopra il fa diesis il canto si fa avventuroso, alla “o la va o la spacca”. Ogni si bemolle è un urlo strozzato, i si naturali sono tutti a rischio stecca: al termine del duettone “Né gustare m'è dato” siamo addirittura all' urlo di guerra apache. L'aria “O tu che in seno agli angeli” , ricchissima di indicazioni dinamiche ed espressive che Licitra non può eseguire, si trasforma in uno sforzo disumano, in una lotta per la sopravvivenza.
E' un vero peccato perché prima del passaggio la voce è ancora molto bella e lascia intendere cosa sarebbe potuto essere Salvatore se solo avesse studiato per bene.
Roberto Frontali ha una sua solidità, si rifugia nel naso per gli acuti ma -come diceva Bruscantini- “meglio nel naso che nel culo”. Il fraseggio è sempre autorevole, chiara la dizione, il personaggio c'è.
Roberto Scandiuzzi è ormai un veterano della parte e qua e là si sente: tuttavia anche lui crea un personaggio estremamente umano e nobile, risolvendo con intelligenza i passaggi più ostici, compreso il terzetto finale.
Intubata e modesta la Maximova come Preziosilla, che non è parte da comprimaria.
Roberto De Candia è un robusto Melitone e a parte un acuto aperto (“Non ispEri la terra”) nel suo grande monologo , crea comunque un personaggio per nulla machiettistico e molto cantato, il che è un bene.
Benissimo Bosi come Trabuco e Iori come Marchese di Calatrava.
Ottima la prestazione di Coro e Orchestra,guidati da un Mehta molto ispirato e partecipe. Pessima invece la “prestazione” del pubblico, che ha applaudito cose che non andavano applaudite. Diciamo che il buonismo ha prevalso sulla realtà dei fatti.