Dopo quasi sessant'anni il Mefistofele di Boito torna al Verdi di Pisa in una nuova produzione
firmata da Enrico Stinchelli. Incontriamo il regista durante le prove dell'opera e gli chiediamo subito
di raccontarci il suo particolare approccio con questo complesso melodramma.
E' molto strano il destino del Mefistofele, opera adorata dal pubblico e snobbata dalla critica. La mia posizione, premetto subito, è totalmente dalla parte del pubblico: sono entusiasta della musica e della drammaturgìa, vi sono pagine che restano scolpite nella memoria e la costruzione , pur monumentale, è teatralissima. Ho amato Mefistofele da quando lo ascoltai la prima volta, in un vecchio disco Cetra con la voce incredibile di Giulio Neri, e poi lo vidi all'Arena di Verona con il basso Ghiuselev, Veriano Luchetti come Faust , restando a bocca aperta per le scene, il Coro immenso. Cose che ti restano nel cuore. Al Mefistofele bisogna crederci, amarlo, farsi trascinare con lui nel suo volo ... tutto diventa più semplice.
Qual è la Sua idea di partenza per l'ideazione delle scene?
Sono partito dalla parte più difficile, il Prologo in Cielo. Rappresentare il Paradiso e fare addirittura udire la voce di Dio non è cosa semplice: siamo costretti a porci un po' troppe domande....chi è Dio, dov'è... Facendo leva sull'immaginazione e magari con l'aiuto di alcune buone letture, tra cui senz'altro Goethe ma ancor di più Dante, ho pensato a una fonte inesauribile di Luce e di energìa cromatica. Una scala che porta verso l'infinito, cristalli che coinvogliano come antenne le energìe universali, la nascita del mondo riassunta nelle arcane melodie create dall'Autore, uomo colto e profondo esoterista. Un'atmosfera rarefatta che cela gli angeli e le falangi celesti, dove il Nulla e il Tutto si ritrovano assieme pensando che il microcosmo, il piccolo, contiene in sé il macrocosmo, l'immenso. Mefistofele è alla base di questa scala, sa come si ascende ma non è in grado mai di arrivare in cima poiché la sua conoscenza si ferma, è limitata. Assillato dai cherubini, verrà abbattuto da loro non da Dio: i bambini, la purezza estrema , ma anche la conoscenza estrema. Quando nasciamo abbiamo tutto e sappiamo già tutto, possiamo solo disimparare crescendo: sono quindi i cherubini a vincere sul Male, a bruciare le sue carni con un semplice profluvio di rose. La semplicità, la profondità della superficialità....si pensi a Mozart, il Dio della Musica, un bambino che non crebbe mai per sua fortuna. Mefistofele dice : “Il Dio piccin della piccina terra...”, cerca così di insultarlo ma ha la sventura di venire dal mondo degli adulti. Dio, per me, è un bambino.
Apre questioni molto interessanti e discussioni che potrebbero portarci molto lontano. Boito parte
da Goethe secondo la Sua visione registica?
Non solo da Goethe. Nella prefazione alla prima edizione del Mefistofele, quella che cadde malamente alla Scala nel 1868, l'Autore elenca una bibliografia abbastanza impressionante, quasi da tesi universitaria. Tipica esposizione di stampo intellettuale e Boito era un fine intellettuale, di corrente wagnerista. Non a caso il fiasco venne causato dallo scontro con i sostenitori dell'arte verdiana, vista come baluardo di una tradizione contrapposta all'incalzare della cosiddetta “Musica dell'Avvenire”. Le solite faccende, vecchie come il Teatro stesso. In realtà Mefistofele è creatura di Boito, c'è davvero tutta la sua poetica in quelle pagine: il concetto del dualismo, per cui in ognuno c'è il Male e il Bene, la parola usata come caleidoscopio di suggestioni e di emozioni, il gusto dell'orrido, la redenzione attraverso la Conoscenza (scrivo in maiuscolo perchè la Conoscenza non è solo quella accademica, istituzionale, ma è soprattutto quella che non si insegna ma si scopre man mano e si intuisce).
Ha parlato in termini positivi della drammaturgìa boitiana, della musica..quindi perchè la critica ha
spesso attaccato questo melodramma?
Perchè è troppo bello e profondo per molti ignari. Se si resta in superficie tantissimi spunti possono sembrare ridicoli, pleonastici, retorici. Se ci fermiamo al diavolo con le corna finiamo a Geppo! Se pensiamo al Sabba come a una danza di streghe a cavallo di una scopa è finita, siamo al teatrino delle marionette. Tanto varrebbe allora tornare alle regìe stile Ken Russell con il bambino di Margherita in lavatrice e con i sette nani! Mefistofele si rappresenta per lo più in modo grottesco: bisogna crederci invece e seriamente. Quando siamo in Arcadia ho pensato a un clima sospeso, un pianeta lontano, “il regno delle favole” evocato appunto da Mefistofele ma bello, delicato, elegante, sensuale....come è bellissimo il duetto “Lontano, lontano”.
Opera in un Prologo, quattro atti e un Epilogo...c'è un punto focale?
Sì, per me è il terzo atto, la eccezionale Morte di Margherita. E' un capolavoro nota per nota. Ho pensato a
un vuoto assoluto, una cella ridotta a una rapazzola a terra, un vecchio materasso sdrucito, una sediola da
bambina, due candele, un cuscino. In quel Nulla c'è ancora una volta il Tutto: abbiamo a disposizione un
cast di giovani bellissime voci e grandi artiste, Margherita può dimostrare il suo valore con una delle più
straordinarie scene di pazzia offerte dal melodramma, concluse da una melodia struggente “Spunta l'aurora
pallida” , è un vero banco di prova e infatti tutte le più grandi cantanti hanno amato questo ruolo. Non posso
dimenticare la prima incisione della Caballé con Julius Rudel sul podio, incredibile quello che si sente in
quella scena. Non trascurerei però anche l'Epilogo, in quei pochi minuti c'è una sorta di Walhalla che crolla,
la fine di Mefistofele è commovente forse ancor più della fine di Margherita. E' il naufragio di un eroe,
negativo certo ma eroe comunque: Capaneo nell'Inferno di Dante. “Trionfa il Signor, ma il reprobo fischia!”
...e quando si arriva a quel grido sull'Ave possente del Coro è inevitabile la commozione .
Ha scelto una particolare ambientazione? Ha cambiato l'epoca, i luoghi?
- No, perchè? Si può fare tutto e si fa di tutto ma non ne vedo la necessità in questo caso. Io amo e credo
nel Mefistofele di Boito, adoro Goethe, non sento il bisogno di trasferire tutto su una metropolitana o tra le
dune popolate dai simpatici (si fa per dire) jihadisti! Trovo troppo facile riferire questo capolavoro ai “diavoli”
dei nostri tempi così poco geniali. Lasciamo i vari Mefistofeli in parlamento o ospiti di Porta a Porta...non li
trovo degni della musica meravigliosa di Boito. Siamo a Francoforte, vedremo la Domenica di Pasqua, lo
studio di Faust, vedremo nell'Epilogo le duecentocinquanta voci convocate per questo grande evento al
Verdi di Pisa, ho cercato di far vivere a me stesso e a tutti coloro che verranno in teatro un sogno .Quando
si ha “riconoscenza” per un'Opera...bisogna innanzitutto riconoscerla.
Incontro con il Maestro Francesco Pasqualetti al Teatro Verdi di Pisa, in occasione del Mefistofele di Boito che andrà in scena il 18 e 20 marzo, poi a Lucca e Rovigo.
Le prove stanno andando avanti benissimo, in un clima di grande collaborazione e rispetto reciproci. Soprattutto è tangibile la preparazione e l'entusiasmo di questo giovane direttore d'orchestra, già segnalatosi per una pregeviole edizione del Don Giovanni di Mozart nello stesso Teatro Verdi. Presente a tutte le prove di regìa, prodigo di consigli , scrupoloso. Ottima occasione per quattro chiacchiere sulla Sua formazione e sulle Sue idee in generale.
Maestro Pasqualetti, può indicare insintesi le tappe fondamentali della Sua formazione?
Per brevità ti inizio a raccontare da quando poco più che ventenne, con il diploma di pianoforte in tasca, frequentavo Filosofia a Pisa, Composizione a Firenze, seguivo da assistente il Maestro Gelmetti all’Opera di Roma (di cui ero anche allievo ai corsi estivi dell’Accademia Chigiana) e fondai l’Orchestra dell’Università’ di Pisa, l’attività’ che tra tutte mi occupava di più in termini di tempo ed energie. Dopo la laurea e il diploma d’onore alla Chigiana ho vinto il concorso alla Royal Academy of Music di Londra (dove ho vissuto per 4 anni) per studiare nella classe di Sir Colin Davis. Grazie a questa esperienza sono entrato in contatto con il Maestro Noseda, altra persona che ha inciso moltissimo nella mia formazione artistica e di cui sono stato assistente a Manchester, Aix-en-Provence e Stresa. E poi il primo contratto da direttore, una vera gavetta “vecchio stile”: 120 recite di Nabucco (in versione un po’ alleggerita) per le scuole in oltre 30 città italiane, prodotta da AsLiCo. In questo modo ho avuto l’occasione di farmi conoscere in vari teatri, per esempio al Teatro Regio di Torino, dove qualche hanno dopo sono tornato per Il Matrimonio Segreto e Die Zauberfloete. E poi in tempi più recenti La Scala di Seta per la Fenice, Boheme e Madama Butterfly per New Zealand Opera ecc.
Ha dei direttori d'orchestra come modello? Qualche predilezione?
Da adolescente il mio modello era Abbado. Mi conquistava la naturalezza disarmante del suo dirigere anche lavori di notevole complessità. Rispetto ad altri grandi direttori mi appariva perennemente fresco, pieno di vita e di senso musicale. E poi Bernstein, Mariss Jansons, Harnoncourt. Di Karajan ho iniziato a comprenderne l’immensità’ molto più tardi e adesso provo per lui un’autentica devozione.
Spaventa l'impegno di Mefistofele, è un debutto impegnativo?
Beh, bisogna sempre avere un po’ di paura del diavolo! A parte gli scherzi, no, per ora non ne sono spaventato, ma certamente sono cosciente dello straordinario impegno in termini di concentrazione e tecnica che questa partitura richiede al direttore (come del resto a tutti gli artisti coinvolti e a tutte le maestranze del Teatro). Innanzi tutto per l’ampiezza delle masse che in questa produzione (tra orchestra in buca- banda in palcoscenico- coro del Teatro- Voci Bianche- Coro extra per Prologo ed Epilogo) raggiungono la singolare cifra di circa 300 esecutori. Ma la quantità non è certamente l’unica insidia. Puccini ad esempio è molto impegnativo per il direttore, eppure i suoi tempi fluiscono quasi sempre l’uno nell’altro con una certa naturalezza. La scrittura di Boito mi appare almeno per ora piu’ impervia e frammentata tra le mille idee e suggestioni che il compositore ci offre senza sosta e con straordinaria giovanile generosità. Tessere la trama narrativa di quest’opera è uno sforzo che richiede molta concentrazione e molta immaginazione.
Del resto stiamo parlando di un capolavoro che merita queste attenzioni: basterebbe la qualità dell’invenzione melodica a renderla da sola un’opera immortale. Eppure c’e’ di più. Tra le pagine della partitura si agita una tensione che non esito a definire avanguardista, seppure non si palesi primariamente nel linguaggio armonico che resta ovviamente tonale per quanto spesso cromaticamente ardito. Una volontà di rottura certamente riconducibile alla “scapigliatura” del giovane Boito, eppure certe intenzioni musicali restano veramente estreme. Indicazioni come violento, vertiginoso, vaneggiando sono relativamente frequenti in questo spartito e ci parlano di un uso talvolta espressionista della materia sonora che la storia della musica conoscerà a pieno soltanto una cinquantina d’anni dopo.
E poi parlano all’interprete le stesse indicazioni di metronomo che Boito specifica in ogni sezione, in un paio di casi certamente al di la dell’umana realizzabilità e di per se testimonianza di una tensione verso il limite, oltre il limite, verso l’abisso che la furia della musica può far presagire. E ancora la folle audacia del prologo, dove si passa improvvisamente dalla enorme massa di qualche centinaio di esecutori che celebrano la gloria di Dio, ai soli due fagotti che per qualche battuta da soli introducono l’ingresso in scena di Mefistofele, come a rappresentare un corpo talmente scarno dove semplicemente non ci sono appigli per un’anima.
A tal proposito devo aprire una parentesi. L’edizione che normalmente Ricordi fornisce ai Teatri recepisce tutte le piccole ma significative variazioni e aggiunte che Toscanini apportò alla partitura. Una casualità mi ha fatto trovare la partitura a stampa (rarissima!) antecedente alle modifiche di Toscanini, edizione di cui la stessa Ricordi aveva praticamente dimenticato l’esistenza e dalla quale si possono attingere alcune informazioni veramente preziose.
In questo caso specifico del prologo per esempio Toscanini ha effettuato diversi raddoppi, perfettamente logici e naturali, per dare più corpo al suono senza snaturarne l’effetto complessivo e mitigare cosi l’arditezza del passaggio da centinaia di esecutori a due soli.
Mefistofele, opera adorata dal pubblico e spesso stronacata dalla critica: è d'accordo?
E’ chiaro che un’opera in cui si sente Dio parlare per ben due volte susciti anche solo per questo qualche sospetto a delle persone ragionevoli come sono in genere critici d’opera. Lo dico senza ironia, se si pensa che storicamente per anni la critica ha avuto come substrato ideologico un materialismo intellettuale di origine quasi marxista. Compositori come Respighi, Casella, Rota sono stati al bando per anni dalla programmazione delle sale da concerto italiane per molto meno. Per accettare quest’opera è necessario quasi un atto di fede, un salto della ragione e della ragionevolezza. Il pubblico, che normalmente si pone meno problemi di questa natura, è libero di apprezzare senza pregiudizi gli straordinari momenti musicali che questa partitura regala.
Quale deve essere oggi il rapporto ideale tra direttore d'orchestra e regista? E' cambiato qualcosa negli ultimi vent'anni?
Il rapporto ideale tra direttore e regista è molto semplice da definire: onesta collaborazione nell’ottica della miglior riuscita possibile dell’opera. Che poi questa cosa apparentemente cosi semplice, immediata e ragionevole possa diventare a volte una chimera irrealizzabile è un dato di cronaca. Penso che parte della colpa risieda nel Teatro stesso in quanto amplificatore. Nelle migliori condizioni amplifica le straordinarie emozioni che gli interpreti immettono nell’opera, ma allo stesso modo amplifica anche egoismi, egocentrismi, insicurezze e protagonismo. E quella che al tavolo di un caffe sarebbe un amichevole scambio di vedute diviene in sala prove uno scontro tra paladini in armatura in cui chi cede perde l’onore. Negli ultimi trent’anni si sono poi acutizzate due tendenze opposte: da una parte i direttori sotto l’impulso delle ricerche filologiche, hanno fatto del rispetto della partitura un idolo fine a se stesso, dimenticando che il vero fine di ogni ricerca sulla partitura è la riscoperta dell’originale forza di vita della pagina scritta e del senso che l’ha generata. All’opposto i registi hanno trovato nello scandalo e dello stupore a tutti i costi una loro primaria ragione di operare. Il che evidentemente non ha semplificato le cose.
(E poi, diciamolo, fanno molto più scalpore le 20 furiose litigare all’anno regista/direttore, rispetto alle 1000 produzioni che scorrono più o meno felicemente).
Le prove di sala...sono importanti? Sempre più rapide e sbrigative:bisogna tornare alle lunghe sessioni di una volta?
Le prove di sala con i cantanti sono un momento essenziale per la formazione dell’opera, delle intenzioni musicali e di senso, della psicologia dei personaggi. Non andrebbero in nessun caso eliminate, ma ovviamente calibrate in funzione dell’esperienza del cast che si ha a disposizione per quella produzione.
Maestro concertatore: un mestiere che si impara? O ci si nasce? Esiste una tecnica direttoriale o vale più il talento?
A questa domanda non so risponderti con sicurezza. Credo però che la parola “talento” sia in se stessa fuorviante. Un mio maestro amava ripetere che non esiste il talento, ma piuttosto esistono i talenti (che possono andare dalla velocità di lettura alla costanza nello studio, dall’intuizione della bellezza alla capacità di tenere le giuste relazioni). Non penso che ci sia un unico magico tocco che scioglie tutti gli ostacoli del nostro mestiere e ti catapulta nel paradiso dei musicisti.
Io quasi tutto quello che so l’ho imparato osservando per anni il lavoro in prova di grandi direttori, andando “a bottega” per usare un termine rinascimentale.
Su una cosa sono assolutamente sicuro: esiste senza dubbio una tecnica direttoriale in assenza della quale il più grande talento di questo mondo rischia di restare quasi completamente inespresso.
Preferenze per qualche Opera o ama quella che dirige al momento?
La risposta polically correct: la mia opera preferita è quella che dirigo in quel momento. La risposta vera: la mia opera preferita è Tosca.
Sogni nel cassetto?
Molti ! Il primo, avere la possibilità un giorno di sviluppare un rapporto continuativo con un’orchestra o un Teatro, magari come direttore musicale, ed esplorare e approfondire insieme ambiti di repertorio sia lirico che sinfonico.
Contento del cast che ha a disposizione a Pisa? Solisti,regìa, ensemble?
Sono molto contento di tutti gli artisti del cast e della regia di questa produzione. Ci sono tutte le premesse per un Mefistofele di bel livello.
Ogni appassionato d’Opera ha vissuto almeno una volta l’inebriante sensazione di restare senza fiato, attaccato alla poltrona , con gli occhi gonfi di lacrime al termine di un melodramma magnificamente interpretato o dopo una strabiliante esecuzione musicale, vocale o strumentale. A me è successo e per fortuna succede varie volte a tutti ma infallibilmente, sempre, quando si giunge al grandioso, epico, sconvolgente finale del Mefistofele di Boito. E’ strano : non ho conosciuto ancora una sola persona che non faccia il tifo per quel “buon Diavolaccio”, allorquando circondato dai mille angioletti e dalle falangi celesti slealmente convocate da Faust, sprofonda e arde, corroso dai petali e dagli strali luminosi che lo colpiscono da tutte le parti.
Il patto, in verità, prometteva gioie e godimenti d’ogni tipo al ringiovanito Faust ,il quale in cambio dava la sua anima .Giunto sul passo estremo, Faust non ha ancora pronunciato la parola magica : “Arrestati, sei bello!” …l’istante che dovrebbe magnificare la raggiunta felicità o meglio l’utopìa d’una impossibile felicità. Giungono in suo soccorso le schiere compatte degli angeli, il Vangelo viene eretto a baluardo invalicabile, Faust è salvo e pronuncia finalmente quella frase che segna la fine di Mefistofele. Il Coro esplode :
Mefistofele , come Capanéo nella Divina Commedia, si erge orgoglioso e grida: “Trionfa il Signor ma il reprobo…fischia!” , i suoi fischi si uniscono ai laceranti sopracuti dell’ottavino e così sbeffeggia la sua sconfitta, strappando almeno gli applausi del pubblico.
Il Mefistofele venne presentato al pubblico della Scala , nel 1868, come manifesto della cosiddetta “musica dell’Avvenire” , preconizzata nel 1850 da Wagner in un suo celebre saggio (“Das Kunstwerk der Zukunft”) .Boito aveva iniziato i suoi studi al Conservatorio di Milano nel 1855 proprio con un docente che era assoluto sostenitore di questa corrente, Alberto Mazzuccato, e fu inevitabile la nascita di fazioni piuttosto esasperate e oltranziste, tra loro contrapposte. Da una parte Verdi e i seguaci dell’opera italiana di tradizione, dall’altra i wagneristi , svincolati dagli schemi consolidati . Il Mefistofele, con tutto il peso della responsabilità “avveniristica” , affrontò quindi un pubblico abbastanza prevenuto, sospettoso e pronto a non perdonare nulla , tantomeno un’opera così monumentale e definitiva. Fu un fiasco colossale . La prima stesura del libretto (Boito rifece tutto e snellì la densa partitura nel 1875) presenta una galleria di personaggi inediti: oltre ai canonici Mefistofele, Faust, Margherita, Elena, Wagner, Pantalis, Nereo,Marta abbiamo poi l’Astrologo, l’Araldo, il Mendicante, l’Imperatore, l’orca Lilith, Paride, il Folletto, quest’ultimo gratificato addirittura da un’arietta nella Notte del Sabba: “Zig-Zag, Zig-Zag l’incerto volar, Zig-Zag Zig-Zag non so raddrizzar” . Altre “perle” letterarie di questo tipo, che ci riportano al Boito del poemetto “Re Orso” , le troviamo in bocca all’orca Lilith : “Largo largo alla moglie dell’orco, che galoppa a cavallo d’un porco”. Mentre molto più ampia era la stesura del Sabba Classico, in cui compare un’altra aria di Mefistofele “Chi è quell’uom a ogni uom diletto? Chi è quell’uom da ogni uom reietto?” e la figura dell’Imperatore, che diventa centrale assieme al Coro per creare un “teatro nel teatro” , ossia la scena del Rapimento di Elena in omaggio a Faust e a Mefistofele, qui nelle vesti di ilare giullare. In sostanza il Sabba Classico era , nella sua prima versione, diviso in due grandi scene e non nell’unica, che oggi conosciamo. Non basta: l’atto quinto, l’ultimo, era preceduto da un Intermezzo sinfonico, a sipario calato, in cui veniva descritta una scena di Battaglia, con tanto di cannonate in partitura e con Mefistofele e Faust in veste di generali contro le truppe celesti al grido di “Viva la Chiesa!”. Da notare che nel rimaneggiare anche l’ultimo atto e quindi trasformarlo nell’attuale Epilogo, Boito abbia abbreviato la parte di Faust (lasciando intatta l’aria “Giunto sul passo estremo”) ma allargando il finale, con l’ingresso dei cherubini e il sillabato di Mefistofele “M’assale la schiera di mille angioletti” più aggiungendo la sardonica frase quasi gridata “Trionfa il Signor ma il reprobo fischia” che, detto a titolo di pura curiosità, in talune esecuzioni il grande basso Ramey gridava più volte, quasi non rassegnato alla sconfitta.
“Nel Prologo in cielo vedi il Sublime, nella Notte del Sabba romantico vedi l’Orrido, nella Domenica di Pasqua vedi il Reale, nella Notte del Sabba classico vedi il Bello. Cielo, Inferno, Terra, Eliso: eccoti il Nord, il Sud, l’Est e l’Ovest del poema Goethiano; esauriscimi ciò se ne sei capace.” (A.Boito)
Effetti da baraccone, pleonasmi, ridondanze, inesauribili sequenze di endecasillabi e settenari alternati: “teatro dei pupi” scrive più volte Mario Lavagetto sintetizzando così, in modo drastico e ingiusto, non solo la prima stesura milanese ma anche il rifacimento bolognese del Mefistofele . Sulla scìa di queste posizioni una schiera di critici, tutti con la bocca storta, tutti con la puzza di zolfo sotto al naso, tutti pronti a bollare senza appello questo singolare monumentum. Due distinte fazioni, come ai tempi di Boito, ancora oggi: da una parte la critica, dall’altra il favore immancabile del pubblico. Chi ha ragione?
Basterebbe valutare attentamente la musica in rapporto al testo, come dovremmo fare sempre , analizzando ogni Opera, sia essa barocca, o romantica o contemporanea, e così facendo Boito non solo vince ma stravince . Il suo linguaggio è obsoleto, antico, ridondante ma è esattamente funzionale alla trama musicale, direi all’ordito musicale, tra i più vari, essenziali ed efficaci che il Melodramma possa annoverare. Boito non è Verdi, non è Meyerbeer ,non è Berlioz e non è Wagner, ma possiede il fuoco creativo di questi inarrivabili modelli: la potenza evocativa del Coro “Ave Signor”, fenomenale e commovente nella sua semplicità di scrittura, concepito come una litanìa in crescendo, con progressioni che riportano direttamente al finale di Norma o di Tristano, il senso della melodìa infinita che si espande e che nessuno vorrebbe finisse mai….ecco, questo è il Mefistofele di Boito. In fondo le avventure di Faust sono come un grande film fantasy, non troviamo lungaggini o sbrodolamenti, sacche di noia: lo spartito è tra i più rapidi e sintetici di tutto il catalogo operistico, nonostante i 6 atti di cui è composto. Una menzione a parte merita Boito melodista: la sua intuizione melodica e la magnifica qualità dei temi che propone fanno immediatamente breccia e non è affatto un caso che siano divenuti hits indimenticabili. Pensiamo alle due dichiarazioni d’amore di Faust, rispettivamente a Margherita ed Elena: “Colma il tuo cor d’un palpito, ineffabile e vero” (atto II,scena del giardino) e “Forma ideal purissima” nel Sabba classico , si tratta di musica celestiale e romantica nella più alta accezione del termine, dove l’essenziale si coniuga alla felicissima invenzione. Cosa dire di quel momento magico che è il duetto del carcere, nel III atto: “Lontano, lontano” , in cui si sublima il concetto di una impossibile, irraggiungibile felicità nella visione di una “azzurra isoletta” sperduta nell’oceano? Boito riesce con poche, azzeccatissime pennellate a rappresentare un delicato quadretto: pittura naìve, si dirà, ma comunque vera, sentita, tenue e commossa. Ai cantanti si richiede la perfetta mezzavoce, che non è falsetto: una ulteriore prova di bravura. Il Mefistofele è ancora di più: la sferzata virtuosistica del Sabba infernale, con il Coro impegnato in un vorticoso quasi impossibile sillabato veloce (antesignano dei rap attuali, ma molto più difficile!) , la memorabile morte di Margherita (“ Spunta l’aurora pallida”) , che non si può dimenticare nella prima incisione discografica di Montserrat Caballé diretta da Julius Rudel , la complessità contrappuntistica del Quartetto nella scena del giardino, a un passo dal ridicolo se direttori e cantanti non sono più che ferrati in materia. Ecco….il Mefistofele di Boito…bisogna crederci e bisogna saperlo eseguire!
Quanti tenori hanno calato il si bemolle della prima aria, scritto per essere eseguito da chi sa legare i suoni e cantare sul fiato MORBIDO! Quanti tenori hanno steccato il si naturale nel finale, quando sulla parola “VangEEElo!” si sono udite le grida di Tarzan (anche alla Scala con “divini” Maestri sul podio…)!
Quanti bassi sono stati realmente in grado di spaziare su tutta la loro gamma senza strangolarsi sui fa acuti e senza afonizzarsi sulle note più gravi? Quanti soprani hanno saputo e potuto superare gli scogli vocali proposti dal ruolo di Margherita, vero soprano drammatico di agilità, o della stessa Elena, senza essere costrette a urlare?
Il Mefistofele è per grandi artisti, cantanti attori completi. Lo stesso discorso va esteso ai direttori d’orchestra e ai registi, che hanno il loro bel da fare. Che peccato che molti importanti maestri non si siano avvicinati a questa partitura così negletta e così amata: pensate cosa sarebbe stato un Karajan! Uno Schippers! Un Furtwaengler…magari! Quali lezioni, quali rivelazioni, quali sottigliezze sarebbero state messe in rilievo.
Bisogna crederci, come Faust crede e alla fine si salva grazie alla Fede. Come lo stesso Mefistofele crede alla sua tragica mission impossible…fino all’ultimo. E fino alla fine grida “….il reprobo fischia”. In fondo, ammettiamolo, gli squilli dell’ottavino sulla nota lunga del Coro hanno il carattere quasi festoso della vittoria (pensiamo all’Egmont di Beethoven) e per un attimo sorge in ognuno il terribile dubbio:…e se il vero vincitore fosse proprio lui?