Giovedì 07 Marzo 2013 16:18 |
Dopo l'ottima prova del “Simon Boccanegra” ecco un nuovo titolo per l'anno verdiano all'Opera di Roma, “I due Foscari”, ed ecco un nuovo successo per Riccardo Muti che indubbiamente sta attraversando un momento di grazia, in stretto connubio con le compagini dell'Opera di Roma che lo adorano e quindi lavorano con miglior lena.
Il trionfatore della serata è stato il maestro concertatore e al termine dello spettacolo si è levato un coro unanime da palchi e platea: “MU-TI!MU-TI!” , segno inequivocabile che il bersaglio era stato colto in pieno.
Il nuovo corso di Muti, che coincide con il suo arrivo a Roma dopo i travagliati anni scaligeri, prevede un impatto meno garibaldino e l'attenuazione di quegli effetti “bataclan” che tante volte avevamo riscontrato anche e soprattutto nell'esecuzione delle opere verdiane. Ora c'è un abbandono e un seguire con amorevole cura il canto, cercando i pianissimi e le sonorità soffuse, giocando su quei contrasti e sui colori che fanno la grandezza di Verdi, troppo spesso trasformato in un compositore da guerriglia. Splendido quindi l'inizio dell'opera, misterioso e cupo, con il Coro che deve dare subito il senso dell'oppressione e della tetraggine imposte dalla Venezia dei dogi. Muti cerca e impone queste sonorità in molte occasioni, nelle arie e nel grande concertato che chiude il secondo atto, fino alla conclusione dell'opera , “Quel bronzo ferale”, la prova generale del finale di Simon Boccanegra. Il momento apicale della serata è stato a mio giudizio la ripresa in pianissimo del grande duetto tra Jacopo Foscari e Lucrezia, “Speranza dolce ancora”, in cui perfettamente fuse all'orchestra ridotta a un sussurro le voci di tenore e soprano hanno davvero emozionato il pubblico.
Luca Salsi
Il cast allineava quanto di meglio oggi offre il mercato, con protagonista il baritono Luca Salsi , uno dei migliori baritoni della sua generazione, dalla vocalità naturalmente corposa e scolpita nella dizione. Qualche fatica in zona acuta compendiata però da un fraseggio sempre molto accurato e da una intonazione perfetta, unita a una recitazione attenta a delineare un doge anziano, sì, sofferto anche ma non malconcio fino alla parodìa, come talvolta abbiamo visto. Peccato il costume del terzo atto, un vestaglione bianco tagliato come i pigiami del bebé, che lo ridicolizzavano alquanto.Magnifici la prima aria ("O vecchio cor") , il duetto con Lucrezia Contarini, il finale dell'opera.
Tatiana Serjan
Non abbiamo trovato Tatiana Serjan in gran forma, stavolta. Forse stava male, non so (il teatro non ha annunciato alcun malessere, ad ogni buon conto) ma troppe sono state le grida in sostituzione dell'acuto normalmente girato, troppi i pianissimi senza appoggio fino a spezzarsi, troppe le difficoltà nelle agilità, fino a una catastrofica esecuzione dell'ultima aria “Egli è spento” , in cui eravamo discesi nell'orrida valle delle perle nere. Ci dispiace, poiché avevamo apprezzato la Serjan in Macbeth e nell'Attila. Sarà un momento di stanchezza.
Come Jacopo c'era il tenore Francesco Meli, di splendido smalto nei centri e nei primi acuti, perfetto nella scansione drammatica delle frasi e sempre efficace nell'accento. Qualche falsettone in luogo della mezzavoce, lo si perdona ;peccato però che la voce venga travolta nei concertati e quando l'orchestra ingrana la quinta, il che farebbe pensare a un ruolo forse troppo oneroso per questa voce così preziosa. Tuttavia un personaggio risolto con gran classe e con nobiltà.
Ottima la parte comprimariale con il basso Luca Dall'Amico perfetto nella parte dell'inesorabile Jacopo Loredano, lo squillante Barbarigo di Antonello Ceron, il perfetto Fante di Saverio Fiore, la Pisana di Asude Karayavuz, il Servo di Donato di Gioia.
Lo spettacolo, firmato da Werner Herzog con le scene e i costumi di Maurio Balò, mi ha convinto solo a tratti. Una bella scena iniziale, con Venezia innevata e un significativo Leone di San Marco incombente. Poi man mano, il “gelo del potere” voluto da Herzog e realizzato attraverso queste “neviere” collocate ovunque (nella cella di Jacopo, nella stanza del Doge persino) è rimasta una intenzione non del tutto chiara. Quando sulla morte del Doge, sui cupi rintocchi del campanone, abbiamo visto cadere fiocchi di neve sulla città lagunare, il pensiero è andato subito allo Schiaccianoci di Ciakovsky e...addio effetto verdiano. Un po' goffi e ingombranti alcuni costumi del Coro e di qualche comprimario, non perfettamente indovinati quelli del Doge. Si registra un grande successo e l'applausometro ha visto su tutti primeggiare Riccardo Muti, seguito a ruota da Luca Salsi, Francesco Meli,il regista, la Serjan, il Coro, l'Orchestra.
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Domenica 20 Gennaio 2013 13:21 |
Stridente la bellezza del Petruzzelli,lo splendore dei suoi stucchi ,la fenomenale acustica rispetto alla bruttezza dell'Otello che ne ha inaugurato la stagione ieri sera. È qualcosa che arriva a far male ,a irritare e umiliare anche il più disinteressato degli spettatori.
L'opera si apre con Jago che munito di un paio di forbici cerca di ritagliare un pezzo di sipario,illuminato da un piccolo spot.Poi,ridacchiando sardonicamente, si allontana e allora la direttrice d'orchestra,Keri Lyn Wilson,può attaccare.Si apre mezzo sipario,il coro si agita a destra compiendo gesti da teatro kabuki,non ben definiti.Poi,sull'Esultate,si apre tutto il sipario e svela Otello,collocato su una specie di enorme tamburello messo per traverso,circondato da corpi stesi al suolo ( i musulmani sconfitti? )...continuo?Vi state divertendo,vero? io no. Nonostante il "geniale" regista abbia cercato in tutti modi di far ridere il pubblico, come se stesse assistendo al Barbiere di Siviglia o al Don Pasquale.
Sarebbero innumerevoli le gags da raccontare : da Cassio preso a calci e trattato come un burattino da Jago,dalla bacinella colma d'acqua recata da Lodovico qual messaggio dogale (senza il pesce rosso,però....troppo scontato e poco "geniale"), dalla gestualità strampalata del Coro ( le donne che come sempre si grattavano il braccio,già visto alla Scala nel recente Lohengrin), i bambini che saltellano nel II atto (avessero almeno intonato una sola nota del loro intervento ),i sacchi che rotolano, Emilia truccata come un trans,Desdemona vestita come San Francesco e infilata nelle valve di una gigantesca cozza bianca, cinque termosifoni in scena ( a Cipro fa freddo,il clima sta cambiando,signora mia....)....questo è l'Otello che ci propina il signor Nekrosius: una autentica cretinata,dall'inizio alla fine.Lo svilimento,la mortificazione di un capolavoro nell'anno in cui Verdi andrebbe consacrato.
L' intensa espressione del "geniale" regista Nekrosius....
Musicalmente c'è da lodare lo sforzo di tutti nel cercar di dare un senso alla serata.A partire dall'impegno eroico del Coro,davvero encomiabile.La direttrice d'orchestra si è mostrata corretta e prudente, la nuova orchestra del Petruzzelli deve ancora rodarsi e prendere confidenza con il difficile compito cui è destinata e certe sezioni ( ottoni soprattutto) devono decisamente migliorare il loro rendimento.
Otello era Clifton Forbis,una voce completamente rovinata nella prima ottava,gutturale e legnosa nel timbro,che però risolve bene in acuto, superando indenne i si bemolli più perigliosi della partitura.Tuttavia la sua prestazione mi è parsa ben al di sotto di un standard accettabile,buona tutt'al più per un teatro di terza categoria. Per un personaggio complesso come Otello gli acuti non bastano, ci vogliono i COLORI.
Claudio Sgura nei panni di Jago ce l'ha messa tutta per creare un personaggio plausibile e non soltanto grottesco,molto meglio vocalmente nel 3 e 4 atto che nei primi due,dove troppo spesso l'orchestra ne sommergeva la voce. Consiglierei a questo giovane e valente artista di cercare una emissione più alta e di ingrossare meno la voce,più punta e meno larghezza ,sarà quella la strada per passare meglio la fossa orchestrale.
Molto bene Desdemona,Julianna di Giacomo,la trionfatrice della serata: una voce sonora e squillante,ben amministrata da una tecnica solida e da una recitazione funzionale alla spaventosa regìa.
Bravi i comprimari,forse troppo leggero il Cassio di Francisco Corujo ( con l'effetto Topolino sempre in agguato) .Molto bene Roberto Abbondanza come Montano,una frase è bastata a metterne in luce la corretta emissione.
Applausi fiacchissimi alla fine di ogni atto e alla fine un giusto riconoscimento per il soprano e Sgura.Il regista "geniale" ,Eimuntas Nekrosius, ha pensato bene di non uscire alla fine: forse la cosa più intelligente (seppur poco coraggiosa) che potesse fare, per evitare i sacrosanti fischi.
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Domenica 20 Gennaio 2013 13:21 |
Nekrosius, immerso nei suoi macabri pensieri......
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Sabato 19 Gennaio 2013 14:19 |
L'anno verdiano si apre a Trieste con una produzione molto interessante del Corsaro,a firma di Gianluigi Gelmetti nella doppia veste di regista e direttore d'orchestra. L'operazione si presenta non facile sulla carta: la musica,seppur densa di colori e di suggestioni poi riprese nei capolavori della maturità, è pur quella d'un Verdi giovane e in piena fase sperimentale, con i famosi "pezzi chiusi" che si susseguono nel pieno rispetto delle regole imposte dall'opera romantica.La trama non è delle più avvincenti, siamo nell'ambito del classico feuilleton ( oggi si chiamerebbe fiction), con i caratteri sbozzati in modo immediato e senza eccessi di zelo né particolari trovate a effetto.Gelmetti ha scelto la strada d'un simbolismo discreto commentato da scenografie e costumi estremamente curati nel taglio e nel gioco dei colori,con magnifici effetti tra bianco e blu,ammiccando con le proiezioni alla guerra del Golfo,ai guasti dell'attuale situazione politica ma allo stesso tempo accennando ai templari,alla simbologia massonica,trasformando i seguaci di Seid in guerrieri Ninja,il suo harem in un ritrovo di annoiate "favorite" in vena di distrazioni saffiche.Un Corsaro,per essere espliciti,che scorreva velocemente di scena in scena,senza mai una battuta d'arresto,senza soprattutto annoiare...che poi è il fine ultimo ( o dovrebbe essere) di un bravo metteur-en-scène.Parimenti, dal podio, Gelmetti ha impresso un ritmo incalzante all'orchestra,eccellente,del Teatro Verdi,con una cura estrema de dettaglio timbrico,dopo prove lunghe e meticolose.
Il baritono A.Gazale con il maestro G-Gelmetti
Un risultato davvero pregevole,assai apprezzato da pubblico che gremiva il teatro,con tantissimi giovani in sala come ha espressamente voluto la politica riformatrice del nuovo sovrintendente ,Claudio Orazi.Un particolare plauso alle scene di Pier Paolo Bisleri ,ai dipinti vividi di Franco Fortunato e ai bellissimi costumi di Paolo Palella, sottolineando anche la prova perfetta del Coro del Verdi,istruito da Paolo Vero.
Mihaela Marcu ,la bellissima Medora
Il cast vocale presentava una rara omogeneità complessiva (anche questo dovuto alle ottime prove che hanno preceduto la prima), con la voce del tenore Luciano Ganci in evidenza per volume e bellezza timbrica,l'esperienza " verdiana" del baritono Alberto Gazale,sempre attentissimo a dar senso alla fase e alla parola scenica,e una avvincente accoppiata femminile,costituita da Paoletta Marrocu come Gulnara, ottima cantante-attrice,e dalla bellissima Mihaela Marcu come Medora,sinuosa e ammaliante grazie a un sapiente uso dei pianissimi in zona acuta.Nelle parti di fianco ottimi sia il basso Ryssov che Alessandro de Angelis come schiavo.Sorprendente l'eunuco di Romina Boscolo,una ragazza dotata d'un vocione baritonale che vedremmo benissimo nelle parti en travesti di Haendel e Rossini.
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