Lunedì 20 Giugno 2011 10:32 |
Aida debutta all'Arena esattamente come un secolo fa, quando la stessa opera inaugurò il vasto spazio veronese per precisa volontà del tenore Zenatello: l'allestimento è solo in apparenza semplice e lineare, non lasciamoci ingannare dall'evoluzione dei tempi. Colonnati , idoli e praticabili sono posti in modo intelligentemente geometrico, creando al contempo uno scenario funzionale, razionale ma non per questo meno spettacolare di tante Aide fritte e rifritte in questi ultimi cento anni. L'ultima scena, per esempio, non teme i confronti più arditi: un enorme baldacchino drappeggiato aleggia sulla tomba, con le torce portate dagli armigeri che illuminano tutta la parte superiore del fondale, con effetto stupendo. Complice una fastidiosa pioggia a intermittenza, lo spettacolo è terminato oltre le 2 di notte, con conseguente illuminazione naturale offerta da una luna che è raro vedere così splendente. La regìa di De Bosio, magnifico veterano dell'Arena, era semplicemente perfetta: tutto funzionava a meraviglia come un meccanismo a orologerìa, ed è questo che uno spettacolo richiede, soprattutto quando si è a Verona e davanti a oltre 16.000 spettatori.
M.Berti (Radames)
Il cast vedeva protagonisti assoluti Marco Berti come Radames e la gloriosa Giovanna Casolla che tornava al personaggio di Amneris dopo qualche anno. Il tenore ha sfoderato una voce sempre voluminosa e squillante, dal “Celeste Aida” al finale, senza alcun cedimento e anzi, aumentando via via solidità e robustezza: una assoluta garanzia. La Casolla, abile a dosare le forze man mano che si arrivava al IV atto , si è mantenuta abbastanza cauta sul registro medio-grave, piazzando splendidi acuti sui la naturali e sui si bemolli, fino a chiudere una Scena del Giudizio alla grande , tra le ovazioni del pubblico.
Molto bene anche l'Amonasro di Alberto Gazale, che ricorda molto soprattutto per i corruschi accenti e per talune somiglianze timbriche il celebre Aldo Protti: la voce è omogenea e facile, morbida all'occorrenza, gli acuti risuonano con la dovuta ampiezza ma senza strafare e soprattutto con eleganza, non dimenticando che il padre di Aida è comunque un baritono verdiano e non il Re dei Negri di Pippi Calzelunghe.
Di sicuro affidamento Prestìa come Ramfis e Striuli come Faraone, anche all'inizio afflitto da raucedini tipicamente open-air.
M.Carosi (Aida)
La nota dolente è stata l'Aida di Micaela Carosi, colta in piena serata “no”. Bello il personaggio, bello il colore ma in grave difficoltà nei passaggi più ostici, ogni qual volta la voce doveva salire oltre il sol-lab. Intonazione mai precisa, oscillazioni , improvvisi vuoti nel registro grave e un “Cieli azzurri” risolto con un grido e chiuso mezzo tono sotto....Speriamo che questa bravissima artista si riprenda presto : un congruo periodo di studio e di riposo saranno la via giusta per salvare una vocalità preziosa .
D.Oren
Daniel Oren ha diretto da par suo, aiutando dove e come ha potuto i singoli interpreti e trascinando l'orchestra verso una esecuzione brillante e baldanzosa. Le particolari condizioni atmosferiche e le continue interruzioni non hanno giovato alla concentrazione di tutti, e il maestro ha avuto il suo bel da fare per risolvere alcune discrepanze tra buca e palcoscenico.
Trionfo per tutti e un plauso speciale all'équipe dell'Arena che ha splendidamente risolto il problema dell'asciugatura del palco in tempo record.
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Sabato 18 Giugno 2011 16:55 |
Arena di Verona gremita in ogni ordine di posti per l'inaugurale “Traviata” , con la messa in scena di Hugo De Ana e con Ermonela Jaho nei panni di Violetta, Francesco Demuro come Alfredo e il baritono Vladimir Stoyanov -Giorgio Gérmont. Sul podio Carlo Rizzi.
E' stata questa una delle rare occasioni in cui lo spettacolo, inteso come regìa -scene e costumi nonché coreografìa (la bravissima Leda Lojodice), ha retto praticamente in toto le sorti dell'intero evento. Esattamente il contrario di quello che avviene, purtroppo, nelle frequenti occasioni in cui sono gli artisti a salvare la parte musicale a fronte di un allestimento orrendo e di una regìa folle o, peggio, stupida (vedi recentissimo Trittico di Puccini a Buenos Aires!).
Traviata, Verona 2011
De Ana riempie lo spazio areniano con enormi cornici vuote, meravigliosamente realizzate, e una quantità di fogli, libri, tele, drappi che rappresentano la casa di Violetta in disfacimento ma anche un grande senso di vuoto, di solitudine, di alienazione, quella appunto che avvolge la protagonista dall'inizio alla fine dell'opera. Ci sono scene molto forti: la festa sadomaso del I atto, i fantasmi del carnevale parigino che strapazzano Violetta trattandola come uno straccio, la violenta reazione dei convitati in casa di Flora contro Alfredo, dopo la scena della borsa. E' una Traviata intensa e ricca di dettagli: arricchita da un perfetto gioco di luci e dalle coreografìe estrose, eleganti, raffinate della Lojodice, oltre che dalla fastosità (tipica di De Ana) nel taglio dei costumi . Spettacolare il “Sempre libera” che chiude il I atto, con Violetta appollaiata su una cornice che nel finale inizia a salire, facendola volare esattamente come “dee volar” il suo pensier.
La parte musicale, soprattutto vocale non è stata all'altezza dello spettacolo, complici le prove funestate dai temporali e il carattere acerbo di alcuni artisti presenti nel cast.
La Jaho, lanciatissima, bella donna, ottimo temperamento artistico e perfetto phisique du role, non possiede purtroppo (o non ancora) le doti vocali necessarie per questo ruolo tremendo:la voce non ha particolari magìe timbriche né una estensione speciale (niente mi bemolle alla fine del I atto, ma non è questo il dato grave). Il suo vero problema è che per caricare il suono e renderlo più “importante” tende a spingere e a crescere di intonazione, il che è fastidioso nell'arco di tutta l'opera. I pianissimi, poi, non sufficientemente appoggiati tendono a spezzarsi, cosa che è accaduta al termine del famoso “Addio del passato” sul la acuto di “finì” . Insomma, c'è da lavorare e da mettere a posto varie cose prima di imbarcarsi in imprese troppo più grandi di lei: tuttavia, se saprà meditare con intelligenza e umiltà sulla sua prestazione, avrà certamente modo di migliorare in futuro.
F.Demuro
Stesso discorso, ancor più severo, per il giovane tenore Demuro che ha dalla sua un timbro davvero bellissimo e una straordinaria verve scenica, forse addirittura eccessiva considerando la pericolosità di un palcoscenico come quello veronese. Sta di fatto che correva da una parte all'altra come Speedy Gonzalez, a volte rischiando lo scivolone ...In questo caso troppi suoni aperti e poco sostenuti dal fiato, troppe note incerte, troppi suoni emessi “di gola” e un quantitativo di microstecche oltre il limite di guardia. L'ultimo atto lo ha visto praticamente KO, come un pugile stremato da un lungo combattimento. Se saprà rivedere con impegno e sollecitudine la propria fonazione, garantendosi un solido sostegno delle note e un maggior uso dei risuonatori alti, il tenore Demuro sarà un numero 1 per il repertorio lirico e non solo per Traviata, Elisir e Rigoletto.
Ricordavo più sicuro e squillante il baritono Stoyanov, ma gli acuti di Gérmont, compresa la famosa aria “Di Provenza” non erano a posto, tanto da fargli rischiare opacità e raucedini. Il fraseggio era buono ma molto sommario e monocorde, anche sotto il profilo dell'allure in scena e della scarsa autorevolezza. Quando in Traviata entra Gérmont, con quel tema così grave e solenne, non si può vedere un impiegato delle poste in trasferta.
Tra i comprimari alcune piacevoli sorprese: l'Annina di lusso di Serena Gamberoni, bella e brava oltre il consueto, l'ottimo Nicolò Ceriani come Barone che -detto per inciso- aveva molta più voce e tecnica di Gérmont stesso, il preciso ed elegante Saverio Fiore come Gastone, la sonora Chiara Fracasso come Flora . Non bene il Grenvil ostrogoto di Gustav Belacék (“La tisi non le accUORda che pUOche UooooRRRe”!!!??) e nella norma gli altri: Paolo Orecchia come Marchese, Gianluca Sorrentino e Manrico Signorini.
Il maestro Rizzi, sulla scìa di Toscanini-Muti, ha staccato tempi vorticosi, a tratti forsennati (il balletto delle Zingarelle, per esempio) ma con il risultato di “scollare” spesso il palcoscenico dalla buca. Il I atto , soprattutto nei passaggi dell'orchestra “fuori scena”, è stato un continuum di svarioni ritmici. Però sono andati meglio i passaggi più lirici e gli accompagnamenti delle arie, anche se un po' troppo metronomici. Più respiro, più respiro, più canto...maestro Rizzi, e sarà un bene per tutti. Allontaniamoci da certe “lezioni” che sono più fuorvianti che altro: Verdi è un autore NOBILE, anche le cabalette possono essere eseguite con eleganza e serenità. Molto bene l'orchestra nonostanze le incongruenze di cui sopra e il Coro.
Si registra, alla presenza del Capo dello Stato, un buon successo da parte del pubblico, con applausi per tutti. |
Mercoledì 25 Maggio 2011 18:16 |
Nell'ambito dei festeggiamenti per l'unità d'Italia , o meglio per i 150 anni dalla proclamazione del Regno d'Italia, approda all'Opera di Roma “La battaglia di Legnano” , opera giovanile di Giuseppe Verdi in un nuovo allestimento curato da Ruggiero Cappuccio, regista particolarmente caro al Teatro e soprattutto al vero “reggitore” del medesimo, il maestro Riccardo Muti, la cui ombra aleggia anche in questa produzione come Banquo nel Macbeth.
Ritroviamo infatti un'altra protegée del Maestro nei panni della protagonista femminile, il soprano Tatiana Serjan , impegnata da un decennio e passa in un repertorio che parte da Mozart arrivando al Verdi più drammatico, prossima Lady Macbeth al Festival di Salisburgo, altra roccaforte mutiana.
La voce è piuttosto squillante e imponente, ma affetta da un fastidioso vibrato stretto che alla lunga stufa e fa slittare spesso l'intonazione. Male l'aria d'entrata, molto male la cabaletta, poi via via si è ripresa ed è andata crescendo, ma sempre con i precisi limiti di cui si parlava all'inizio.
Arrigo è un tenore coreano,Yong Hoon Lee, esile nel fisico e piuttosto ingolato nell'emissione, costantemente “indietro” quando si tratta di salire oltre il fa acuto. Le note le canta, il compito lo esegue ma risultare vincenti in questo ruolo “eroico” è un altro conto, oltre che un altro canto.
Emerge il baritono Luca Salsi, dagli accenti giusti ed espressivi, con bella voce nei centri e con acuti efficaci anche se non del tutto a fuoco. Il suo è il personaggio più riuscito insieme al Barbarossa di Dimitri Beloselski, basso che avevamo già apprezzato come Zaccaria nel recente Nabucco.
Comprimari al di sotto del minimo garantito: Tiziana Tramonti si presenta bene sul palcoscenico ma con voce poco udibile, si taccia degli altri e soprattutto del primo Podestà.
Il migliore in campo è il direttore d'orchestra, Pinchas Steinberg, che affronta la partitura alla garibaldina ma senza mai strafare e soprattutto con un'idea nitida e chiara, assolutamente precisa sia negli attacchi sia nell'equilibrio tra le varie sezioni dell'orchestra, in grande forma. Bene il Coro anche se con un inizio non molto preciso, soprattutto per quanto riguarda l'assieme.
Lo spettacolo di Cappuccio è una brutta imitazione del Ronconi di “Nabucco” ed “Ernani” : una strana “pittrice” in bianco spennella tutto il tempo mentre sfilano davanti agli occhi del pubblico riproduzioni in tulle di famose tele , tra cui Delacroix , Velazquez, Mimmo Paladino....una sorta di pot pourri che non sfigurerebbe in un almanacco televisivo, piccolo prontuario per un veloce ripasso di Storia dell'Arte. Trespoli, cavalletti, elmi accumulati da una parte, abiti tra l'impermeabile e la camicia da notte...sinceramente....pareva il magazzino della ditta Rancati , con luci perennemente spente o buie, tra il lugubre e il macabro. Assente la regìa:tutti schierati per foto di gruppo, Coro immobile , cantanti in posa.
All'uscita, lo scarso pubblico ha distribuito applausi per tutti i protagonisti, di più per il baritono e il direttore, qualche buuh per Cappuccio, che ha così rimpiazzato Gabriele Lavia, inizialmente previsto come regista di questo spettacolo.
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Domenica 15 Maggio 2011 09:52 |
Il Comunale di Bologna esce da una gestione (Tutino) che ha gravemente inficiato le sue condizioni economiche e scombinato gli equilibri interni di quel delicato meccanismo che si chiama Teatro d'Opera. Il nuovo sovrintendente, Francesco Ernani, lavora senza un direttore artistico stabile ed effettivo, senza un segretario generale, senza un ufficio stampa e pubbliche relazioni...come Manon Lescaut...”solo, perduto, abbandonato”, per di più con un bilancio di previsione in rosso. Se entro giugno non avrà precise indicazioni da parte del nuovo Sindaco e di coloro che reggono le sorti amministrative del prestigioso teatro, non potrà far altro che rimettere il suo mandato.
In una tale situazione è facile che un'opera complessa e terribilmente impegnativa come “Ernani” di Verdi possa non riuscire nel migliore dei modi, aggiungendosi all'emergenza burocratico-organizzativa anche la mera jattura: il previsto protagonista, Roberto Aronica, costretto alla defezione dopo alcune prove poco riuscite, seguito a ruota dal previsto direttore d'orchestra, l'esperto Bartoletti, che abbandona il campo non soddisfatto dal sostituto, il tenore Rudy Park. Alla Prima, cui ho assistito, il cast così composto: Park, Dimitra Theodossiou, il baritono Marco Di Felice e il basso Ferruccio Furlanetto, si sono ritrovati per la prima volta sotto la bacchetta del maestro Polastri, che ha ovviamente fatto del suo meglio per portare la nave in porto ma senza risultati particolarmente brillanti. L'Opera non si improvvisa e se lo stellone garantisce qualche miracolo qua e là, non si può sperare che -come per magìa- tutte le cose vadano a posto con simili premesse.
Trionfatore della serata è stato il basso Furlanetto, premiato dal pubblico per la sicurezza, il dominio del palcoscenico e la potenza vocale, ancora impressionante dopo 37 anni di carriera sulle spalle. Qualche eccesso da parte sua, soprattutto nell'accentazione un po' forzata di alcune frasi, ma nel complesso una prova maiuscola, da artista abituato ai grandi maestri e ai grandi teatri.
D.Theodosssiou
Dopo un inizio bruttino e una cabaletta che sfiorava la perla nera, Dimitra Theodossiou ha tirato fuori le unghie e con Furlanetto ha rappresentato il duo più “in parte”, affidandosi a una recitazione sempre molto presente e a una vocalità incline alla dolcezza dei pianissimi, senza mai strafare. Il soprano greco ha risentito più degli altri del cambio direttoriale , avendo impostato il suo personaggio in tutt'altra maniera, ma alla fine, soprattutto nel grande terzetto che sigla l'opera, è riuscita a delineare un carattere convincente .
Al tenore Rudy Park va l'onore delle armi, avendo coperto il ruolo per tutte le prove e tutte le recite, impresa che non è da tutti. La voce è grande, una tendenza perniciosa a voler imitare Corelli nei suoi vezzi, come i brutti portamenti dal basso, ma la cosa più grave (e per me imperdonabile) è l'assenza pressochè totale di un'arte scenica degna di questo nome. A che serve una voce se sul palcoscenico si agita un omaccione spaesato, che non sa cosa fare delle sue mani , dei suoi sguardi, di ogni sua movenza?
Il baritono Di Felice è corretto, d'accordo, ma non ha i mezzi vocali necessari per una parte mitica come quella dell'imperatore Carlo V: canta le note, fraseggia anche con efficacia, ma la voce non corre e appare come “vuota” a fronte di frasi formidabili come “ai nobili la scure!” , “e vincitor de' secoli” o per il grande concertato che chiude il III atto.
Sul podio il maestro Polastri ha diretto senza verve e scarsissima personalità d'interprete, con l'unico scopo di chiudere in fretta la pericolosa partita.
La regìa di Beppe De Tomasi si è limitata a garantire le giuste entrate e le relative uscite: pulita, lineare, ma lasciando troppa libertà alle iniziative personali degli interpreti, cosa che funzionava con Furlanetto e la Theodossiou ma non con gli altri. Stupende le scene classiche e i costumi di Francesco Zito, che davano l'esatta idea dei luoghi e delle vicende narrate dal libretto.
L'orchestra e il Coro sono stati inappuntabili, salvo qualche piccolo incidente della banda fuori scena.
Pubblico molto anziano, che contrasta fortemente con il look giovanile, universitario della città di Bologna. Speriamo che questo splendido teatro risorga e torni ai suoi “felici dì”.
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