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SCALA: TRAVIATA A CASA CUPIELLO
Lunedì 09 Dicembre 2013 16:59

                                traviata_scala_zampieri        

 

Stavolta non mi sono lasciato travolgere dalla smania di scrivere subito qualcosa, dalla

frenesìa della recensione che spesso colpisce chi ha appena assistito a qualcosa di

straordinario, ma  ho  voluto meditare  più  a lungo: in fondo, di “straordinario” questa

Traviata scaligera non aveva assolutamente NULLA.

 Del  russo Tcherniakov si conoscevano benissimo le gesta, i  piani-regìa, le  "idee"

e dove sarebbe andato a parare: direi , anzi, che rispetto a taluni suoi recenti orrori (vedi

per esempio il verdiano Macbeth o l'Eugenio Onieghin di Ciaikovsky....sempre bene

specificare l'autore) , questa Traviata si è presentata come un classico, diciamo una regìa

di tradizione andata a male, corrosa dalla muffa e da quintali di polvere. Case da

appuntamento, mignottoni colorati, qualche trans di passaggio, carnevalate nelle scene di

festa...ne abbiamo viste a iosa negli ultimi trent'anni. Si parlava di presunte lavatrici come

di oggetto scandaloso: e perchè mai, se questo simpatico elettrodomestico già fece la

sua trionfale comparsa nel Mefistofele di Ken Russell,a Genova, nei lontani anni 80? Una

regìa vecchia , quindi, e quindi ingiustamente contestata. Per rispetto alla sua vetustà i

dispettosi loggionisti (e non solo, poiché abbiamo assistito a un dissenso corale)

avrebbero dovuto mantenere, forse, un atteggiamento più discreto, più sommesso, come

si fa quando una anziana signora scivola per strada . Cosa c'è di moderno in

Tcherniakov? Nulla. Zero assoluto. Una Traviata come si è abituati a vederla da decenni

in Germania, in Russia, nei teatri di tutto il mondo che quando non hanno idee

scimmiottano quelle, muffite, degli altri.La  scena, solita, tra  quattro  mura  stantìe, il

secondo atto  nell'angolo cucina di   casa  Cupiello Sarebbe più moderna ,a questo punto,

la Traviata di Visconti, ma quella viene considerata “vecchia” dai cretini, che non

conoscono né l'una né l'altra ma cavalcano le mode e i filoni perversi del teatro lirico, che

langue tra falso modernismo e pressochè completa assenza di idee esibite dai cosiddetti

registi alla page.

 

                          traviata_beczala__affetta

                                        Alfredo affetta  furiosamente l'insalata

 

Tcherniakov è un regista che vorrebbe far ridere dove ci sarebbe da piangere e piangere

dove vi sarebbe da ridere. L'intento gli riesce, quasi ma non del tutto, in questa Traviata,

sicuramente la peggiore che si sia mai vista alla Scala.

                        traviata__damrau_grassa

Violetta, Diana Damrau, a metà tra Frau Kitty e Minnie Minoprio, è un personaggio

perennemente isterico e incattivito, conciato come peggio non si poteva. Una cantante di

quel rango dovrebbe, prima di entrare in scena guardarsi bene allo specchio: se le

braccia paiono braciole e la faccia infarinata la avvicina a sua zia....allora è il caso di

chiedere al regista qualche lieve ma determinante modifica, ai costumi e al trucco. Il

regista non vuole? Bene, allora te ne vai: a meno che l'auri sacra fames non abbia il

sopravvento sulla tua dignità.

                      

          traviata_zampieri        traviata_giusi_ferre

             Mara Zampieri                                                                      Giusi Ferré

 

Colossale e determinante la VERA protagonista della Traviata scaligera: la grande Mara

Zampieri, che truccata anche lei a mezza via tra Giusi Ferré e Vanna Marchi, ha dominato

la scena dal principio alla fine. Si potrà discutere su qualche nota un po' fatiscente, ma lì

la colpa è del maestro Gatti, che ha preteso in tutta evidenza degli inopinati pianissimi.

Mara Zampieri, grandiosa artista, si è pappata in un sol boccone tutta la compagnìa e

complice Tcherniakov (che ne ha colto la valenza) ha rappresentato una magnifica

maitresse, cinica e guardona, presente in scena dall'inizio alla fine  come  una  tragica

e incombente  Lady  Macbeth.

 

Abbiamo   visto in scena, nel II atto, Diego Della Valle che in molti hanno scambiato per

Giuseppe, anche lui presenzialista di lusso.

                     diego-della-valle-fiorentina

 

Sempre in omaggio alla Tv italiana, Tcherniakov ha voluto per Piotr Beczala ispirarsi a

Teo Mammuccari, e lo ha trasformato in un abile e un po' nervoso cuoco, che affettava,

trinciava, disossava, e infine serviva con l'aplomb di un perfetto omino di casa. Non

capisco perchè sia stato fischiato: forse perchè ha cantato male? Ma su...conta forse

qualcosa il “CANTO” in occasioni del genere? Allora il baritono, Lucic, andava ucciso!!!

 

      traviata__becazal_mammuccari        mammuccari

         Teo Mammuccari                                                                Piotr Beczala


Siamo obiettivi: una prima alla Scala, OGGI, organizzata dal signor Lissner che non ha

meglio da dichiarare che i loggionisti milanesi sono brutti e cattivi , che è a causa loro

se  i grandi cantanti non vengono....Ma dai , Lissner, vengono...vengono...tranquillo che

vengono. Sei TU che te ne devi andare e al più presto! Bon débaras, dicono dalle tue

parti.

Vorrei spezzare una lancia per due artisti: la più bella, Giuseppina Piunti, e il più bravo di

tutti, Ernesto Panariello.

 

Resta Daniele Gatti,che coadiuvato da una malefica revisione di Fabrizio della Seta, ha

approntato una Traviata assurda, con inserimenti strani, tempi a fisarmonica (ora lenti ora

frenetici),dinamiche scombinate e un pessimo “assieme” con clamorosi squilibri tra buca

e palcoscenico. Qualcosa di buono c'era? Senz'altro: la tenuta straordinaria di quel

vecchio signore di 200 anni che ha nome Verdi, il quale resiste a ogni violenza o a ogni

schifezza. Non so come faccia.

 

Dulcis in fundo, la vergogna suprema: alla Scala di Milano, il 7 dicembre, Violetta NON

ENTRA nella scena della festa in casa di Flora e l'orchestra va avanti da sola, in puro

stile karaoke. Cosa accadde? Un ascensore difettoso, un direttore di scena

dimentichìno, la Damrau incastrata tra due ante? Qualcuno ce lo dirà. Un fatto

simile è tipico di quelle recite disperate en plein air: Roccasecca, Sgurgola Marsicana,

Canicattì.

 

Intanto Napolitano stava con Barroso nel palco: hanno avuto probabilmente la Traviata

che si meritano.

 

                                    scala_napolitano

 

 


 
ERNANI : SI RIDESTI IL LEON DI MOLFETTA
Giovedì 28 Novembre 2013 09:54

 

                                                                 ernani_locandina

 

Ernani di Verdi trionfa all'Opera di Roma nel pieno di una bufera che coinvolge il teatro della capitale, le cui casse presentano un controverso bilancio in rosso e la difficoltà latente di sopperire regolarmente ai 480 stipendi mensili da corrispondere ai lavoratori . Che la gestione De Martino-Vlad non sia un modello di oculatezza è evidente a chiunque e che i costi assorbiti dalla presenza prestigiosa ma onerosa del Direttore Emerito, Riccardo Muti, vadano oltre l'accuso è altrettanto evidente. Vedremo come finirà questa storia, probabilmente come sempre: trattandosi del teatro che rappresenta la capitale di questo paese giungeranno soccorsi speciali, appunto “all'italiana” uniti a un vassoio di tarallucci innaffiati dal buon vino dei Castelli. “Lo vogliamo salvare questo Teatro?” urla Muti durante gli applausi finali al pubblico delle impellicciate signore e degli anziani signori che rappresentano il cosiddetto “generone romano” , e la risposta corale è ovviamente “sìììììììì”.....che suona un po' ridicola e molto ipocrita, poiché la domanda che sorge spontanea è :” Maestro....perchè non inizia Lei , riducendosi il cospicuo cachet? “ .

 

                               ernani_1_de_ana

Lo spettacolo è di quelli che si ricordano, grazie all'apporto straordinario del più grande regista oggi in attività assieme al veterano Zeffirelli, e cioé Hugo De Ana. La scena rappresenta la facciata e il bugnato esterno di un palazzo nobiliare, le cui pareti si alzano e si abbassano o appaiono scorrevoli, a seconda delle varie scene. Un palazzo solenne e grigio, opprimente come il melodrammone cappa e spada che Ernani in fondo è, illuminato con tagli e bellissimi effetti di controluce, in maniera semplice ed efficacissima. I costumi sono un autentico capolavoro, qui De Ana esprime il meglio del suo gusto sopraffino e ricco, con un risultato affascinante nel III atto, quando Carlo viene incoronato Imperatore. Stupende le Dame di Compagnìa di Elvira, ognuna curata nei minimi dettagli e così le guardie, i dignitari del Re, persino i banditi di Ernani erano dei protagonisti e così la scena brillava come non mai, mettendo al tappeto tutta quella massa di sistematici massacratori di opere che ritroviamo nei teatri del mondo, soprattutto in Germania, i quali ritengono che l'opera italiana sia la palestra dei loro delirii.

                             ernani_meli1

                                  Francesco  Meli  (Ernani)  e  Tatiana Serjan (Elvira)


Con De Ana i trionfatori sono stati i cantanti e soprattutto il trio costituito dal debuttante Francesco Meli, giovane e baldanzoso interprete d'un ruolo che fu pensato da Verdi NON per un tenore drammatico bensì per un belcantista di classe, capace cioé di cantare all'occorrenza piano e pianissimo, con gusto ed eleganza; il baritono Luca Salsi, finalmente un Don Carlo giovane e vibrante d'amore (troppe volte, anche da parte di conclamati interpreti abbiamo ammirato un totem, assai poco incline ad accarezzare Elvira ma piuttosto impegnato a emettere suoni), con straordinarie mezzevoci distribuite nelle frasi topiche “Vieni meco, sol di rose”, “O de' verd'anni miei” e accenti sempre autorevoli e scanditi nei meravigliosi recitativi; e last but not least il nobilissimo Ildar Abdrazakov, dalla magistrale linea di canto morbida e legata, truccato più da fascinoso Don Giovanni che da anziano Silva. A queste tre voci superbe si sono unite le prestazioni perfette di Gianfranco Montresor come Jago, lo scudiero di Silva, e del sempre tonante Antonello Ceron, Don Riccardo.

                                   ernani_salsi

                                             Luca  Salsi (Carlo V) 


Debole invece il reparto femminile, soprattutto per una stanca e fioca Tatiana Serjan nella difficile parte di Elvira, al che mi chiedo : perchè non mettere nel primo cast la bravissima Anna Pirozzi? I misteri dei teatri. Una prestazione davvero sotto il livello minimo quello della Serjan, con acuti indietro e strillacchiati, note in pianissimo prive del necessario sostegno, frasi spezzate e intonazione periclitante. Meglio la Giovanna di Simge Buyukedes, anche se limitata a pochi sparuti interventini.

Buona la prova del Coro e dell'Orchestra dell'Opera di Roma, guidati da quello che ho già definito come il “Muti umano” degli ultimi anni: misurato, prudente, con sonorità attenuate, attentissimo negli accompagnamenti, prodigo di colori e di pianissimi. Ai cantanti vengono ormai concesse le variazioni nel da capo, le strette non sono più folli e vorticose come alla Scala, insomma....un Verdi più meditato, riflessivo, nobile. Se ne giova il suono nei momenti più delicati, come il finale, splendido nel tremolo degli archi sulle frasi del morente Ernani. Peccato lo stacco troppo rapido del finale III, 'O sommo Carlo', unico neo della serata.

Note di colore: al termine dell'inno nazionale si udì un isolato “Viva il Presidente” , rivolto al Napolitano collocato nel palco reale. Risposero pochi non convinti applausi e un sonoro fischio.

Dopo il Coro “Si ridesti il Leon di Castiglia” ...Muti si gira e dice: “Ma si ridesterà davvero sto' Leone di Castiglia?”....applausi, risate....bis del Coro.....

Un clima tra la Vedova allegra e il Marchese del Grillo.

 
NORMA versione light con la DEVìA
Venerdì 19 Aprile 2013 13:52

                                         norma_deva2

 

Ho  sempre sostenuto che  una buona tecnica  sia  in grado di assicurare  anche una  buona interpretazione. Il corretto  uso del  fiato, la  posizione  "alta" dei suoni, la  capacità di  modulare  il proprio strumento  sono  i  dati precipui  per  poter  risolvere  quanto  previsto  dall'autore, e  l'espressione  è  segnata  da  precise dinamiche  musicali.

Mariella  Devìa  è  ancor  oggi, alla  sua  bella  età, il miglior  soprano  leggero  in circolazione: nulla a  che  vedere  con  talune starlettes  terribilmente  sostenute  dai battages  pubblicitari  e  tragicamente penalizzate  dalle  loro  prestazioni  pubbliche.

Il problema  però  si  pone  con Norma, che  NON E'  un SOPRANO LEGGERO.  Norma  è  il  prototipo esatto  del soprano  drammatico di agilità, una  tipologìa  vocale  che  a fianco  dei caratteri  tipicamente belcantistici   propone  accenti, fraseggi  e  un mordente  tipicamente  drammatici, antesignani  di  quei  personaggi  che  Verdi  e  successivamente  gli autori  del  naturalismo avrebbero  esaltato. Ho volutamente  fatto  cenno al  Verismo  poichè  è  noto, dalle cronache del  tempo, che  Giuditta  Pasta  riusciva  a commuovere  il  pubblico  della  Scala  proprio  aggiungendo  al  proprio  canto  : pianti, singulti, accenti  che  oggi  vedremmo  bene  per una  Santuzza   più  che  per una  Norma.  Questo  è  un grande  paradosso:  sul  principio  dell'800  si  recitava  e si  cantava  in maniera  più  "veristica"  di  quanto si  sarebbe fatto  oltre  un secolo  più  tardi!

                               norma_deva3

Ma torniamo alla  Devìa.  Non possiede  un timbro  scuro, pieno, corposo  ma  chiaro. Una  Norma  chiara  non va  bene, mi si  dirà? No, non va  bene, perchè  come  suo contraltare  dovremmo avere  una  Adalgisa  soubrette  e  un Pollione  contraltino, il che  non può  essere. La  Devìa  non  possiede l'agilità "di  forza"  , conditio sine  qua  non per risolvere   frasi incendiarie  come  "Tutti, i romani a  cento a  cento", "Vanne  sì, mi lascia  indegno",  gli allegri  dei  duetti con Adalgisa: tutte  le  volte  che  deve  salire  in agilità, lo fa  alla maniera  dei  soprani leggeri, cioè -per  l'appunto- alleggerendo l'emissione  e schiarendola, un  sistema  perfetto  per  Amina, Elvira  dei  Puritani, Adina  in Elisir, Fiorilla  nel  Turco in Italia  ma non  per  il  carismatico  ruolo  di Norma. La  Devìa   emette  gli acuti  in perfetta  posizione  alta ma  non ha  la  "canna"  sufficiente  per dare ai  suoi  do  e  si naturali  l'autorità  e  la  grandiosità  necessarie. Diciamo  pure  che  per  guidare  e  convincere  un'orda  di  barbari  si  supporrebbe  una  autorità diversa.

Un altro sostanziale  problema  della  Devìa  è  per  l'appunto l'accento  in relazione  al  suo  fisico, gracile  e  minuto: : era  il  problema  della  Gruberova, accusata  di  essere  una  Norma  formato  mignon, è il problema  della  Norma-zanzara  della  Bartoli, è un problema  per  ogni  Norma  di ascendenza  "leggera".

Non  parlo nemmeno di  volume, sebbene  gli  acuti  della  Devìa  sono  giusti ma non  certo  fulmini  di  guerra: la  Caballé aveva  ben  altri  decibel, e  così la  Sutherland, la  stessa  Anderson, per  non andare  troppo indietro  nel  tempo.

Fatto  sta  che  il  pubblico  bolognese  ha  tributato un trionfo all'amata  Mariella, con  un paio di  solitari  "buh"  al  termine della  cabaletta  "Ah  bello,a  me  ritorna"  (insolitamente  eseguita in maniera  prudenziale e   persino timorosa) e altri  "buh" , più nutriti  stavolta, al  termine dello sbiadito terzetto  che  chiude  il  primo atto. In effetti  il momento peggiore  della  serata. Risolti al  meglio  tutti i passaggi  più  lirici, dove  l'emissione  in pianissimo  ha  giovato  sia  alla  Devìa  che alla  sua partner, Carmela  Remigio, con un  ottimo risultato nel  secondo atto e  in particolare  nel  duetto  "Mira  o  Norma".

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Il  tenore  Machado  canta  con proprietà  e  gusto  (nonostante  un brutto  do  gridato  nell'aria  del  primo  atto), ma  anch'egli  è  leggero per  nascita  e  censo:  con una  determinata  voce  ci nasci, non puoi trasformarla  a  tal  punto  da  cambiare  la  categoria  dai  "piuma"  ai  pesi  "massimi". In troppi  punti  faceva  pensare  (anche guardandolo) a  Nemorino, o a  Elvino,  agli  -ino  e  non agli  -ONE.

Il basso  Sergey Artamonov funzionava  fino a che non doveva  salire, poi  sugli acuti....addio....la  voce si  strozzava.

Efficace  Gianluca  Floris  come  Flavio, anche se  con troppe  note  "aperte", e  buona  la  Clotilde, Alena  Sautier, che  aveva  persino  più  voce  di  Norma....assurdo.

Lo spettacolo  di  Tiezzi gettava  sul dramma  una  secchiata  di  gelo, come una  grande  fotografia  sbiadita. Pose  plastiche  per  comparse  e  Coro, strani gesti, Clotilde  e  i  bambini afflitti  da  narcolessìa, Adalgisa  che pareva  spesso  in preda al   colpo della  strega,  Norma  mite  e disincantata   come  in un  party . Belle  le  scene  di  Bisleri   e  i  dipinti  di  Schifano  ma  mal  utilizzati  dalla  regìa, belle  le  luci  di   Gianni  Pollini.

Il maestro Mariotti  ha  curato  molti  dettagli  e  ha  aiutato  in maniera  incredibile  tutto  il  cast,  conferendo un  bello sprint  laddove  ha  potuto  (certo, la  cabaletta di  Norma  al  rallentatore  non è  stata  sua  responsabilità). Buona  la  prova  dell'orchestra  e  del  Coro ancor  di  più, anche  se  qualche strumento a  fiato non è  sempre  intonatissimo e  l'acustica  bolognese...non perdona.

                                                  norma_devia5

 
GLI ABITI NUOVI dell'IMPERATRICE
Martedì 09 Aprile 2013 19:35
Bartoli1__primo_piano
 

   CECILIA  BARTOLI  all'AUDITORIUM, Roma 8\4\2013



N. Porpora Sinfonia da "Meride e Selinunte"
"Come nave" aria di Siface da "Siface"
R. Broschi "Chi non sente al mio dolore" aria di Epitide da "Merope"
N. Porpora Ouverture da "Germanico in Germania"
G. F. Händel "Lascia la spina", aria di Piacere da "Il Trionfo del Tempo e del Disinganno"
F. M. Veracini Ouverture N. 6 in sol minore - Allegro
L. Vinci "Cervo in bosco" aria di Climaco da "Medo"
L. Leo "Qual farfalla", aria di Decio da "Zenobia in Palmira"
F. Araia "Cadrò, ma qual si mira", aria di Demetrio da "Berenice"
N. Porpora "Usignolo sventurato", aria di Siface da "Siface"
C. H. Graun "Misero pargoletto", aria di Timante da "Demofoonte"
A. Scarlatti Sinfonia di concerto grosso n. 5 in re minore - Spiritoso e staccato - Adagio - Allegro
A. Caldara "Quel buon pastor", aria di Abel da "La morte d'Abel"
N. Porpora Overtures dalle cantate "Gedeone" e "Perdono, amata Nice" - Adagio - Spiritoso andante - Allegro
L. Vinci "Quanto invidio la sorte... Chi vive amante" Recitativo e aria di Erissena da "Alessandro nelle Indie"
N. Porpora "Nobil onda" aria di Adelaide da "Adelaide"

                                   Bartoli3__fanfan_la_tulipe

 

“Sacrificium” , l'album dedicato ai castrati, approda a Roma nel grande auditorium di Santa Cecilia e la Bartoli fa il suo ingresso travestita da Fanfan la Tulipe, con ampio mantellone nero foderato di rosso, camicia bianca a sbuffo e stivaloni, procedendo di aria in aria a un piccolo strip, fino a presentarsi nel bis immancabile “Son qual nave” di Broschi con ampi pennacchi, lanciati in aria uno a uno durante gli osanna del pubblico.

E sotto al vestito?  Qualcosa c'è, in effetti...un gran temperamento, che poi è la dote migliore per chi voglia diventare qualcuno o qualcosa nel mondo dello spettacolo.

                   

La Bartoli, come è noto, si è costruita un personaggio attorno a un non-repertorio (dove si esegue Germanico in Germania, Zenobia e Palmira o il Siface?) e con una piccola voce. Già, perchè privo della dovuta amplificazione, lo strumento della diva non è più che modesto, buono forse per piazzarla in una finale di concorso ma senza vincere. La Bartoli è un fenomeno assolutamente mediatico: i dischi Decca, che la presentavano 20 anni fa in bluson noir e con look vagamente zingaresco, oggi la propongono in ogni maniera possibile: in posa Anita Eckberg sotto la fontana di Trevi, in frak , marmorizzata e androgina nell'omaggio agli evirati cantori di “Sacrificium”, calva e in clergyman in puro stile Angeli e Demoni nel suo ultimo album "Mission" , insomma....un 'abile gioco di travestimenti buono per creare un perfetto mito discografico. In fondo, nello scaffale del melomane, i cofanetti della Bartoli fanno bella mostra di sé, a prescindere dal contenuto;  e , come  tutti i  salmi  finiscono in gloria,  così  quasi  tutti i  concerti  della  Bartoli  finiscono  con standing ovations  e  trionfi  di  pubblico, felici tutti   di  naufragare  nei  gorghi  della  simpatica  Cecilia . Gli acuti squittiscono? Manca  la  polpa? Ma  che  voce  è? ....considerazioni  da  vociomani inveterati, da  'fissati' , da  nostalgici. La  Bartoli  vince  ridacchiando  e  saltellando, il biglietto  è  ampiamente pagato dallo show.

                      


Intendiamoci: la cantante è molto intonata (salvo qualche perdonabile scivolone nei bis finali), espressiva, sa variare e nei cantabili, nelle arie “di portamento” , è persino plausibile quando la tessitura giunge in suo soccorso, cioé quando canta nel registro medio (che è il suo registro d'origine). Quando iniziò la Bartoli era appunto un mezzosoprano di agilità, di voce non grande ma abbastanza omogenea, destinata a un repertorio limitato ma comunque splendido, che partendo da Monteverdi poteva approdare all'opera napoletana del 700, a Mozart, a talune opere di Rossini. Se si confronta la voce della prima Bartoli, quella ancora svincolata dalle acrobazie forsennate e isteriche degli ultimi tempi, con la attuale si nota un solo dato eclatante: il “sacrificium” è stato quello della sua vocalità, prosciugata  e stravolta da un abuso di suoni non appoggiati e paurosamente “indietro”. Ascoltate  questa  Bartoli  di  23  anni  fa: la  voce  è  più omogenea, piena, persino il colore  è  più  bello, gli acuti  non sono  così  vuoti  e pigolanti  come  quelli attuali. Poteva  essere  la  vera  erede  di Teresa  Berganza. Giusto le  "facce"  sono rimaste le stesse, ma  quelle  sono  difficili da  eliminare....

                     

Basta  oggi una compagine come quella scaligera guidata da un direttore “vero” come Barenboim, ed ecco la vocina travolta dall'onda sonora, esattamente come la nave di tante arie di paragone del repertorio barocco. E  giù  fischi, come da  tradizione  "Scala".

                       

Con la ventina di strumentisti del complesso “La Scintilla” , striduli e spesso stonicchianti (cos'erano i corni....) , questo pericolo non si corre e la Bartoli può vocalizzare allegramente, facendo felice il pubblico dell'Accademia di Santa Cecilia, che la adora.

Esito trionfale, dunque, come da copione.Ma...sotto al vestito....

 

                                    bartoli_nuda

 


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