L'Aida di Verdi torna alle Terme di Caracalla in una versione 'tascabile' , considerando il palcoscenico stretto stretto e certamente poco adatto a ospitare la pompa che questo Grand Opéra richiede, almeno nei primi due atti. E' una fatica improba sostenere gli otto quadri scenici, con il cambio a vista per evitare gli impossibili tre intervalli e limitarsi a uno solo, dopo la scena del Trionfo. I macchinisti dell'Opera di Roma, bravissimi, fanno il loro dovere e spostando ad arte le scene debitamente carrellate , realizzano la magìa: il tempio passa da un esterno all'interno, le colonne si aprono, le scale compaiono e scompaiono a richiesta, dal Nilo si passa alla tomba, tutto in pochi minuti.
La regìa di Maurizio De Mattìa è funzionale per un'Aida pronto uso, prèt à porter, molto colorata, un po' troppo affollata nel II atto , con costumi che mescolano l'Egitto antico con le più moderne e sempre attuali odalische arabe.Le luci, ora bluastre ora fucsia o violacee, riportano un pò troppo a Gardaland e ci allontanano da Menfi. I personaggi sono bloccati in proscenio e pensano solo a cantare le loro note al pubblico: perché non si guardano? Perché non giustificano l'azione drammatica? Paura? “Tanto siamo all'aperto....”? Nel 2010 ciò non è possibile, soprattutto quando una fondazione importante garantisce mezzi e prove a una serie di professionisti famosi e attivi in tutto il mondo.
Protagonista è Micaela Carosi, un soprano che in questi ultimi anni è asceso ai massimi vertici internazionali nel repertorio verdiano e pucciniano. La voce è molto bella di colore, ampia, duttile e credo sia proprio l'inusitata dovizia di mezzi ad aver spinto le direzioni artistiche e la stessa Micaela a indirizzarsi verso il genere cosiddetto 'lirico-spinto' , se non addirittura drammatico. Nel suo repertorio figurano Aida, Tosca, Forza del destino, Ballo in maschera, Norma, Manon Lescaut, Madama Butterfly....tutti ruoli che suppongono una solidità non solo vocale ma soprattutto tecnica. Ieri sera ho notato nell'assetto vocale della Carosi degli evidenti cedimenti, che voglio attribuire alla stanchezza e all'afa romana, in questi giorni particolarmente fastidiosa. Però, da amico (a che servono gli amici se non a consigliare e a rilevare ciò che non funziona?) voglio dire a Micaela che gli slittamenti di intonazione (nel corso di tutta l'opera ma soprattutto nel III atto) , l'impostazione troppo 'aperta' negli acuti (si bemolli ) , l'oscillazione evidente in molti passaggi e il do faticosissimo dei “Cieli azzurri” , sono un segnale rosso che indica due cose: 1) necessità di riposarsi e di riaggiustare l'emissione dopo il surplus lavorativo; 2) rivedere il repertorio, evitando date ravvicinate, e indirizzandosi verso un maggior lirismo. Perché alla base , secondo me, Micaela Carosi ha una voce lirica, un gran lirico come erano i lirici all'antica.
Walter Fraccaro è stato un buon Radames, capace di superare ogni ostacolo a cominciare dal tremendo “Celeste Aida”. La voce non è stupenda, vi sono molte inflessioni nasali, ma è gestita con oculatezza e con un fraseggio classico, non avaro di colori (si sente la scuola del grande, sommo Carlo Bergonzi). Inoltre è intonatissimo , dote ormai quasi rara. Peccato che la recitazione sia amorfa, statica da morire, un palo (ma la responsabilità in questi casi è della regìa: Maurizio!!! ).
Trionfatrice della serata la veterana Casolla come Amneris: autorevole fin dalla prima frase, sempre in parte, espressiva, fortissima nel registro alto nonostante qualche nota gutturale in basso.
Altro trionfatore Angelo Casertano che nella piccola parte del Messaggero ha dimostrato cosa significhi cantare: bravissimo!
Non mi è piaciuto il rude baritono Segreij Murzaev come Amonasro: voce grossa più che squillante, sempre sul forte, stecca sulle note acute (perché non sa attaccare morbidamente una sola frase delle tante previste da Verdi).
Buono Marco Spotti come Ramfis , non così Carlo Striuli come Re, tendente troppo al 'parlato'.
La direzione di Oren si è manifestata come sempre partecipe e corretta, con tempi un po' troppo rapidi (la solita ansia di perdere il treno!). L'orchestra e il Coro (troppo povero, mancavano gli aggiunti) hanno mantenuto alto il livello musicale, con punte di eccellenza negli assoli dell'oboe e nella sezione degli ottoni, magnifica la banda fuori scena, ottime le trombe d'argento per la Marcia.
Pubblico in prevalenza turistico, applausi per tutti ma con maggior fervore nei confronti della Casolla, della Carosi e di Fraccaro.
E' un pò di anni che il termine crossover è entrato nel nostro gergo familiare. In ambito musicale, crossover viene usato per descrivere materiale preso in prestito da più generi diversi, la cui popolarità supera i confini convenzionali della musica e dei suoi stili. E' la commistione dei generi, la contaminazione...già questo dovrebbe metterci in guardia poiché quando si parla di contaminazione si parla di virus, microbi, germi nocivi, veleni.
Finché si resta nell'ambito della musica pop, del rock, dell'heavy metal, di generi cioé che si nutrono di contaminazioni e che , tutto sommato, vivono di influenze esterne, di provocazioni, di situazioni "estreme"...poco male.
Il guaio è quando ai compromessi della commistione di generi deve scendere la musica "colta" , che sia classica o operistica (il cosiddetto operatic pop).
Secondo un assunto molto discutibile per il quale "la musica colta va portata alla gente" , e non il contrario (come in realtà dovrebbe accadere e accade per le anime più sensibili), il crossover riduce e confeziona un brano musicale secondo stilemi e versioni più fruibili, più 'facili' , più immediatamente recepibili da una non ben identificata massa, giudicata a priori bruta, rozza,amorfa.
La musica da camera e sinfonica è stata la prima a subìre varie trasmutazioni crossover: pensiamo al celebre Canone in Re maggiore di Johann Pachelbel, il secondo movimento del Concerto per pianoforte e orchestra n. 21 K 467 di Wolfgang Amadeus Mozart inserito nella colonna sonora del film Elvira Madigan (1967). Potremmo elencare altri 40-50 brani famosissimi, usati per film, sigle, pubblicità. Non si può certo dire che le versioni 'modernizzate' di tali brani siano più belle e piacevoli rispetto agli originali. Diciamo che suonano più "facili".
Con l'Opera , soprattutto dopo l'avvento del disco, le cose procedettero di pari passo. Già Caruso iniziò a spaziare dal genere operistico alla canzonetta, inserendo nei propri cataloghi brani molto lontani dalle armonìe ricercate degli autori classici. Così anche e più di Caruso , Beniamino Gigli che, forte del mezzo cinematografico, assunse il ruolo di "Cantore del Popolo" e dalla Manon Lescaut o dal Lohengrin, passò tranquillamente alla canzonetta, come l'inno campestre "Se vuoi goder la vita" inserito nel film "Mamma", con la leggendaria Emma Gramatica assisa al pianoforte e un Coro incredibile di contadini , più intonati dei professori della Scala!
Dopo Gigli tutti i tenori vollero passare il guado, nessuno escluso. Un divo assoluto come Mario Del Monaco non poté sottrarsi alla tentazione del crossover e, attirato dalle lusinghe della Televisione (nuovo giocattolo destinato a soppiantare il cinema) si divertì a trasformare la sigletta di Raffaella Carrà in un'aria degna di Otello o Mario Cavaradossi...
Passano altri 20 anni da quel lontanissimo 1970, e presso le Terme di Caracalla si celebra un evento destinato a segnare lo spartiacque tra l'Opera e l'Operatic pop : il Concerto dei Tre Tenori. Nato per celebrare il ritorno di Carreras sulle scene liriche, dopo la drammatica malattìa che stava per costargli la vita, l'incontro tra Placido Domingo, Luciano Pavarotti e lo stesso Carreras finì per diventare un fenomeno mass-mediatico e discografico senza precedenti. Dopo le arie d'Opera, regolarmente cantate dai tre artisti, il medley conclusivo a suon di canzoni e canzonette ruppe il diaframma tra pubblico pop e puristi del melodramma: i Tre Tenori valicarono così i propri naturali confini, per entrare nelle case di tutti, a costo di sembrare anche un pò goffi e un pò buffi.
Fu soprattutto Luciano Pavarotti a trarre i maggiori benefici (anche economici) dall'operazione Tre Tenori, avendo egli un contratto speciale di royalties con la Decca, produttrice del disco e del dvd. Compresa l'importanza dell'operazione, Big Luciano si gettò a capofitto nel crossover e inventò, per conto suo, il "Pavarotti International" meglio noto come "Pavarotti & Friends" , laddove i "friends" non erano più Domingo e Carreras, bensì Lucio Dalla, Sting, Elisa, Ligabue, Bono, persino Michael Jackson e Grace Jones. I quali, a onor del vero, amici di Luciano diventarono a suon di bigliettoni , non certo per aver frequentato mai teatri d'Opera. I duetti tra Pavarotti e i suoi amici, per 10 anni, furono della più varia specie, dal sublime all'orrido, ma costituirono la più solida base per il crossover ormai adulto e vaccinato, pronto a tutto...
"Pavarocky Horror Show" verrebbe da dire, dopo il Werther versione Lamberto Bava interpretato dal Tenorissimo con l'inquietante Grace Jones.
Non si può tuttavia parlare di crossover senza ricordare il decisivo contributo offerto al genere da Andrea Bocelli, che potremmo definire un "crosstenor" o un "overtenor" , considerando il suo vastissimo repertorio e il continuo, a volte audacissimo impegno nell'ambito del pop e dell'opera lirica. Bocelli duettò, ça va sans dire, con lo stesso Pavarotti in uno degli storici incontri modenesi...
Gli anni 2000 vedono il trionfo e l'avallo totale del crossover, passato di ugola in ugola, da Bocelli a Safina, da Filippa Giordano a Vittorio Grigolo,ancora il Trio Pupo-Vittorio Emanuele e Luca Canonici, arrivando ad alcuni fenomeni televisivi odierni, come la "Barbie" Katherine Jenkins, pronta a indossare il vestitino giallo e a cantare "Nessun dorma" davanti a folle plaudenti e mediamente disorientate...
Crossover, croce e\o delizia? Dipende dai gusti , dalle abitudini, forse anche dalle latitudini e dallo stress...
Certo è che l'Opera nel corso della sua lunga e tormentata storia ne ha fatti parecchi di salti mortali. Sopravviverà anche a questo, com'è sopravvissuta a un Brindisi singolare , realizzato come bis al Covent Garden di LOndra da Carreras, da Katia Ricciarelli, da Agnes Baltsa e da Ruggiero Raimondi. Osservando ciò che accade, tra risate, lazzi e orchesche emissioni, verrebbe da chiedersi quale veleno si stato instillato nelle coppe di Violetta Valéry e Alfredo Gérmont?
...sarà sicuramente la stessa pozione, non magica ma tragica, bevuta dai quattro 'magnifici' interpreti di quest'altro Brindisi, cioé dai vincitori del talent show inglese Popstar to Operastar con i loro rispettivi maestri: Rolando Villazon (ormai identico al santone Sai Baba) e Katherine Jenkins, ancora lei, sempre più Barbie.
Aida, regìa: ZeffirelliRatto dal serraglio, regìa:Bieito
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, le regìe d’ opera si sono suddivise in due grandi categorie: le regìe di stampo “tradizionalista” (uso di materiali “storici” come le tele dipinte, impianto luci a diffusione, impostazione classica con rispetto delle didascalie, ambientazione nei tempi voluti dall’autore, costumi d’epoca, ec.), e quelle di tipo “sperimentale” o “moderno” ( ampio campionario di stravolgimenti: d’epoca, di costumi, di situazioni, inserimento di personaggi non previsti, persino di musiche non previste, interventi di fantasia voluti espressamente dal regista e dal suo scenografo e….tanto, tanto sesso).
L’ antinomia produce effetti opposti e tra loro fortemente contrastanti:da una parte i fautori di un teatro classico, didascalico, buono per tutti i gusti ma fatalmente rivolto a un pubblico di abituées, più tranquillo e posato; dall’altra un teatro di rottura, trasgressivo, iconoclasta, molto contestato dai melomani integralisti , destinato a fasce giovanili più irrequiete, magari frequentatori occasionali del melodramma , intellettuali annoiati.
Ovvio che nel genere del teatro “trasgressivo” se ne siano viste di tutti i colori.
Si va a temi, desunti naturalmente dall’attualità o dai grandi eventi storici del passato prossimo .Troviamo per esempio lo sfruttamento quasi ossessivo dei temi legati alla Seconda Guerra Mondiale, quindi nazisti e carri armati a iosa in opere di vario genere: dal facile Nabucco alla Tosca (celebre quella “ fascista” di Jonathan Miller al Maggio Fiorentino),dal Macbeth(la fischiatissima regìa di Dominique Pitoiset al Regio di Parma nel 2001, in cui a dire il vero apparivano pure Mary Poppins e altri personaggi un po’ meno impegnativi) alla Forza del destino o al Ring wagneriano, senza escludere Mozart ovviamente, o persino Haendel. I nuovi eroi dell'Opera lirica , del resto, sono fatalmente legati all'attualità, anche per quanto riguarda i compositori: abbiamo così La morte di Klinghoffer di John Adams, basata sull'omicidio del turista americano sull'Achille Lauro negli anni Ottanta; ecco Biko di Paintal e Fawkes dedicato al sindacalista sudafricano ucciso dalla polizia a Johannesburg nel 1977; ecco Nixon in China dello stesso Adams o The Manson Family di John Moran, in cui lo stesso autore veste i panni satanici di Manson, l'omicida. Gli assassini, i mostri hanno un particolare successo, come dimostra The assassins di Stephen Sondheim, in cui la protagonista è Squeaky Fromme, la donna che tentò di assassinare il presidente Ford.
Candide, regìa: Carsen
Un’altra ossessione per i registi è legata al sesso, annessi e connessi: ecco quindi Don Giovanni che palpa sederi e seni delle sue donne, ecco Graham Vick che nel Rigoletto proposto a Londra, Madrid e Palermo regala al Duca una fellatio (prudentemente eliminata nella ripresa siciliana del dicembre 2003),ecco l’Euridice di Peri e Rinuccini ripresa a Firenze nel 2000 e trasformata da “gentilissima favola” a un baccanale di papponi, tossici e prostitute; ecco in Traviata , ancora di Graham Vick (Verona (2003) apparire una bambola nuda alta circa venti metri , toreri svestiti nel quarto atto della Carmen di Hugo de Ana, per la gioia delle damazze genovesi sedute in prima fila , munite di binocolini. Sesso e violenza sembrano le attuali predilezioni dei registi , soprattutto d’area germanica: orge,sevizie, persino un massacro finale nel Ratto dal serraglio di Mozart alla Komische Oper di Berlino (2004), a firma di Calixto Bieito. Belmonte è ovviamente un travestito, non mancano proiezioni di film hard e il suicidio finale di Costanza, mentre Pedrillo e il suo padrone massacrano i clienti del bordello di Selim Pascià, roba da far sembrare i terroristi di Al Qaeda delle timide educande.
Sempre Bieito circonda Armida , nell'opera di Gluck, di boys svestiti: non è forse il sogno di ogni primadonna ritrovarsi circondata da tante attenzioni?
Nel Don Carlos di Verdi a Berlino (2004), il regista Philipp Himmelmann ha preferito rendere il drammone a fosche tinte una riunione conviviale, una sorta di grande abbuffata in salsa hot: Don Carlos spruzza yogurth in faccia ai commensali, Rodrigo si ritrova una frittata sui pantaloni, la regina nervosamente stira, mentre Filippo II e la principessa Eboli copulano clamorosamente sulla medesima tavolata. La scena dell’Auto-da –fé vede alcuni eretici nudi e appesi per i piedi, poi cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Falli che penzolano e ballonzolano un po’ ovunque, sempre che non debbano addirittura presentarsi nella più classica versione eretta: un Minotauro infoiato si presenta con l’ “alzabandiera” nel Baccanale del Tannhauser di Wagner a Ginevra (settembre 2005), grande trovata del regista Olivier Py (del resto le didascalie wagneriane, in merito a tale scena orgiastica, parlavano chiaro); per assicurarsi tale prestazione, il regista fece ricorso a un attore porno, abituato a erezioni , per così dire, facili e “straordinarie”.
Non possono mancare gli amori gay che esplodono in Don Carlos, Otello, Ermione di Rossini, nel Ballo in maschera (il celebre allestimento a Londra nel 2002, poi a Barcellona, di Calixto Bieito: con orge nel bordello di Ulrica, sodomizzazione e uccisione di un gay, il tutto ambientato nella Spagna di Franco!). Rossini in mutande al famoso ROF (Rossini Opera Festival) di Pesaro nel 2003, con la regìa di Lluis Pasqual che per l’appunto suggerì una passerella di desmutandados nel Comte Ory . Amori saffici addirittura in Traviata : nel recente allestimento ad Hannover, il solito impagabile Bieito ipotizza Annina come amante di Violetta, la quale finge di essere tisica per disfarsi così del maschilistico duo Gérmont. Traviata è in effetti un buon banco di prova per sperimentazioni e follìe di vario tipo: nell'ottobre del 2008 il regista Felix Breisach compone il capolavoro verdiano nientemeno che nell'affollata stazione ferroviaria di Zurigo, con Eva Mei e il tenore Grigolo circondati da Eurostar, passeggeri curiosi e rumori d'ogni tipo. Eva Mei,Vittorio Grigolo
Altro tema caro è quello della droga: Mimì muore di overdose nella Bohème di Ken Russell (autore tra l’altro di un Mefistofele comico a Genova, con mamme tagliate a pezzi in frigorifero e bambini in lavatrice!), la droga circola liberamente nel Mozart di Peter Sellars.
Un altro assillo è quello religioso: nel Faust di De Ana all’Opera di Roma alcuni cardinali si presentano con i rispettivi falli eretti in bella mostra; Scarpia è un alto prelato nella Tosca di Ripa di Meana alle Terme di Caracalla nel 2009 (scontato dejà-vu ) mentre nella Tosca firmata da Antonio Latella a Macerata (2005) abbiamo addirittura la Madonna nuda in scena che , oltre a partorire angeli, aiuta la protagonista a spiccare un volo simbolico verso l’al di là.
Nella Tosca di Luc Bondy , vista al Met e a Monaco nel 2010, Scarpia palpeggia e abbranca la statua della Madonna alla fine del Te Deum,colto da un raptus mistico-erotico.
Stlizzazione, assenza di suppellettili, vuoti esistenziali, luci di taglio hanno caratterizzato il teatro di Bob Wilson, che adistanza di 40 e passa anni dal suo debutto ci ripropone un'Aida minimalista, grigia, fatta di giochi d'ombra e di mosse kabuki
Aida, regìa: Wilson
In fondo si somigliano un pò tutte queste regìe, fateci caso: sulla stessa scenografia vuota, vagamente ospedaliera, puoi collocare qualsiasi titoli, sia esso Turandot o Don Giovanni.La Rusalka di Carsen finisce per essere identica a una qualsiasi Bohème,Traviata,Otello, Pagliacci.
Rusalka, regìa: Carsen
L'ossessione finale (ipotizziamo su ispirazione dei luoghi in cui i registi 'meditano' le piu' singolari imprese) riguarda le tazze dei cessi. Prima timidamente, poi sempre più frequentemente i wc sono apparsi sui palcoscenici, quali ideali arredi di Ballo in maschera & C.
Seconda puntata del nostro appuntamento con le esecuzioni indimenticabili, un utile "ripasso" che soprattutto d'estate non fa mai male. La riconoscenza, diceva un saggio francese, è una virtù rivolta al futuro piuttosto che al passato e noi, che siamo riconoscenti a chi ha dato gioia ed emozione, vogliamo che tale virtù sia rivolta soprattutto al presente.
Cominciamo con un duetto che si realizzò a New York, durante uno dei mitici "Galà Richard Tucker" alla Carnegie Hall. Qui abbiamo il baritono Sherill Milnes e il tenore Giuseppe Giacomini,colti in stato di grazia nel grande duetto "Sì pel ciel" tratto dal II atto dell'Otello di Giuseppe Verdi. Da notare i tempi perfetti staccati da Anton Guadagno e il poderoso la naturale all'unisono con cui si chiude il pezzo, tra l'entusiasmo generale.
Nel genere rossiniano Juan Diego Florez non teme rivali. Nel difficilissimo rondò Cessa di più resistere" che di solito veniva omesso dal Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini , almeno fino all'avvento di specialisti temerari come Rockwell Blake prima e Florez oggi, il tenore peruviano riesce a coniugare stile, agilità perfetta, eleganza, intonazione, estensione. Un cocktail ideale per il repertorio belcantistico, di cui Florez è campione assoluto.
In un'epoca di giochi e scherzi pericolosi, come la recente "Norma" a Dortmund interpretata da Cecilia Bartoli, riascoltare il "Teneri figli" del soprano Ghena Dimitrova può davvero contribuire a rimettere qualche utile puntino sulle "i". Norma è e resta un soprano drammatico di agilità e ciò vuol dire che , a fronte di una indiscutibile capacità virtuosistica, bisogna avere la VOCE necessaria a imporsi , sia per la credibilità del personaggio sia per emergere dai flutti di un'orchestra che, spesso e volentieri, crea una barriera sonora drammatica.
Quel che sorprende nella Norma di Ghemna Dimitrova è la strepitosa qualità della sua mezzavoce, il sentimento che affiora da ogni frase, la linea impeccabile. Considerando, tra l'altro, le opere che il soprano bulgaro normalmente cantava in quel periodo (e che ha cantato in tutta la sua vita): Nabucco, Turandot, Macbeth, orza del destino, Tosca, Aida, Fanciulla del West. Quanto di più lontano dal mondo rarefatto e stilizzato di Bellini.
Eppure...
Siamo a Rio de Janeiro nel 1951, Beniamino Gigli è negli ultimi quattro anni della sua fantastica carriera, iniziata nel 1914 a Rovigo, cantando Enzo nella Gioconda di Ponchielli.Il ruolo di Des Grieux, proibitivo per qualsiasi tenore (Corelli non volle mai accettare questa scrittura, nonostante le offerte favolose) vede un Gigli anziano ma ancora prodigioso, perché prodigiosa fu la sua tecnica: a gola aperta, come dicevano i vecchi maestri. Una tecnica sconosciuta a molti attuali tenori, da Villazon a Kaufmann.
Gigli canta "No, pazzo son" con l'esuberanza di un ragazzino e sale senza tema alcuna al si naturale, aggiungendone persino uno (lo faceva sempre) sulla coda finale. Molti sorrideranno per il vezzo di commentare le frasi del Capitano..." ebben....ebben...grazie Capitano!" , ma è Gigli che sente il personaggio fino ad appropriarsi del testo , questo vuol dire - come nello sport- "avere cuore".