MANON LESCAUT , una PRIMA TEMPESTOSA
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Venerdì 28 Febbraio 2014 13:09

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Approdo pucciniano all'Opera di Roma, teatro in odor di liquidazione coatta per lo spaventoso deficit contratto negli ultimi anni, e con il “battaglione Muti” in prima linea: papà Riccardo sul podio, Chiara Muti impegnata con la sua terza regìa operistica.

Diciamo subito che a noi è molto piaciuta l'impostazione voluta dalla giovane regista: un impianto scenico tradizionale (di Carlo Centolavigna), magnifici costumi di Alessandro Lai ma con una regìa assolutamente dinamica e moderna, nella migliore accezione del termine. Raffinata, elegante soprattutto nei primi due atti, con il supporto di un ottimo light designer, Vincent Longuemare, che ha sottolineato anzi, “raccontato” l'opera con perizia e intelligenza, mettendo in rilievo soprattutto la grande solitudine del personaggio di Manon e in questo aiutando enormemente il carisma naturale di Anna Netrebko. L'opera, per quanto riguarda il lavoro svolto da Chiara Muti, era nettamente divisa in due: i primi due atti affascinanti, curati in ogni dettaglio, quasi rievocanti il miglior De Ana, poi un inspiegabile calo di ispirazione per il terzo e quarto atto. Purtroppo cercare di risolvere Le Havre alla maniera didascalica è un rischio enorme, c'è il kitsch in agguato e...quando abbiamo visto transitare un quasi comico burchiello, una nave giocattolo, sulle onde e infine una gigantesca prua proprio sulle note del trionfalistico finale, impallando malamente l'abbraccio tra Manon e Des Grieux...lì si è temuto il peggio .

                                              manon_terzo_atto__prua

Peggio che è arrivato nell'ultimo atto, quando era semplice sfruttare lo scarno scenario voluto da Puccini e invece il palcoscenico si è ritrovato ristretto e incorniciato da brutti tendaggi, con un fondale statico e malamente dipinto....nulla a che vedere, per citare un notissimo allestimento romano, con il capolavoro scenotecnico di Parravicini, tanto per restare nella tradizione più alta. Temo che le forti contestazioni indirizzate a Chiara Muti fossero soprattutto per questo finale d'opera così incauto, più che per le accuse di nepotismo che serpeggiavano da tempo su tutta la produzione. Contestazioni che comunque, personalmente, non condivido , perchè trovo che Chiara Muti sia una brava e interessante regista,a prescindere dal peso del nome che porta. Assai meglio di tante pazze e pazzi che massacrano i capolavori operistici in giro per l'orbe terracqueo.

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Veniamo, dopo la figlia, al padre. Per una singolare forma di solidarietà registriamo anche in questo caso una riuscita a metà: da un lato un Muti estremamente attento e per nulla prevaricante sulle ragioni del canto ma dall'altro lato una prudenza che ha anche negato alla scrittura pucciniana quell'abbandono e direi quella sensualità che sono la cifra precipua della grande concertazione pucciniana: e qui voglio citare Thomas Schippers, Karajan (che però mai diresse Manon Lescaut), Serafin, la Bohème di Bernstein (capolavoro di stile pucciniano), Daniel Oren in una magistrale esecuzione romana dei suoi esordi. Insomma non basta la tecnica e il mestiere per Puccini: ci vuole tanto cuore e un fiume di temperamento, cosa che è venuta meno all'esecuzione mutiana ieri sera, forse per lecita tensione, forse per una mancanza di dimestichezza con questo repertorio. Tante inesattezze nel primo atto, troppi clangori nelle chiuse affidate a ottoni tremendamente veementi e pesanti, un Intermezzo in cui sono comparse tre cannonate di rara volgarità al posto dei normali timpani (imperdonabile questa gigionata direttoriale) contrapposti a splendidi momenti nel II atto soprattutto, compreso il difficilissimo terzetto.

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Il cast vocale ha visto brillare la stella di Anna Netrebko, in forma vocale strepitosa. Devo dire che dopo averla ascoltata anni addietro, quando cantava Gilda al Met e Susanna a Salisburgo, l'ho trovata letteralmente trasformata: la gravidanza e l'acquisizione di qualche chilo in più dopo il periodo “anoressico” delle copertine hanno giovato alla quantità e alla qualità della voce, che risuona nella sala del Costanzi con pienezza di armonici e inusitata potenza. Due ottave piene e omogenee, do acuti poderosi, pianissimi delicati e pieni di suono , un bellissimo legato, intonazione impeccabile e tutto questo ben di Dio unito a una recitazione perfetta, appassionata, carismatica. Tante cantanti dovrebbero imparare a 'prendere la luce' come fa la Netrebko e a essere seducenti nella semplicità e naturalezza dei gesti. Perfetta. Al termine dell'aria “In queste trine morbide” un'ovazione trionfale.

Al suo fianco un tenore giovane e volenteroso, Yusif Eyvazov, ma tremendamente ingolato nell'emissione: pur raggiungendo ogni nota, questo ragazzone un po' ingomabrante e impacciato, non ha convinto. Totalmente inerte di fronte a una tigre come la Netrebko, indifferente alla sue provocazioni (e un po' di testosterone, forza!!!! Ma dove sono i tenori una volta!!??), mozzarelloso nei movimenti, inchiodato alla bacchetta di Muti come se il vero fidanzato fosse il Maeschhtro....una prova troppo debole per un ruolo così importante.

Molto bene il baritono Caoduro come Lescaut, preciso musicalmente e autorevole sotto il profilo meramente vocale (solo si raccomanda un vibrato meno accentuato, probabilmente per eccesso di spinta su taluni passaggi) e straordinariamente efficace il Geronte di Carlo Lepore. Un lusso le voci di Alessandro Liberatore come Edmondo e Paolo Battaglia come Capitano, entrambi perfetti nei loro ruoli. Un po' troppo spaventati, invece, il Musico di Roxana Costantinescu e il Lampionaio di Giorgio Trucco. Imponente il sergente di Gianfranco Montresor.

Orchestra e Coro in forma perfetta, solo in leggera difficoltà d'assieme all'inizio e nella scena dei Musici.

Al termine ovazioni e alcune vigorose contestazioni indirizzate soprattutto al tenore, alla regista e in parte anche a Riccardo Muti, persino un paio di “buuh” alla magnifica Netrebko, il che lascerebbe supporre a una controclaque preparata a tavolino più che a una reazione spontanea.

 
MUTI , PROVE GIOCOSE DI MANON LESCAUT
News
Sabato 22 Febbraio 2014 13:42

                          muti__scherza

 

 

Opera, musica classica....sinonimo di seriosità, di sussiego. Un mondo

occhialuto e dai toni cattedratici che si contrappone violentemente al

variopinto carrozzone sanremese e al culto del Pop. Ma è veramente così?

Nulla di più fuoriviante ed errato.

 

                             muti_ride1

 

Se un anonimo avventore si fosse trovato giorni fa presente alla prova del

Maestro Muti con il Coro dell'Opera di Roma (l'occasione è la Manon

Lescaut di Puccini, che andrà in scena il prossimo 27 febbraio) avrebbe

assistito a una di quelle scenette che rivelano l'altra faccia dell'Opera, il volto

ilare e giocoso, se vogliamo goliardico, dello Spettacolo più bello del Mondo.

Smessi i panni un po' da Solone, cui il Maestro ci ha abituati nelle sue

apparizioni pubbliche o nelle immagini che lo ritraggono con la mascella

volitiva e il fiero cipiglio, ecco il Muti battutista che racconta al Coro

delll'Opera le allusive note “SI SI LA DO” poste da Puccini in partitura, nel

topico momento in cui Tosca subisce le avances ricattatorie del Barone

Scarpia. Grande risata del Coro tutto, eccettuata una signora in prima fila ,

dallo sguardo severo. “Maestro, queste battute non mi fanno ridere” ,

avrebbe sentenziato decisa, lasciando il Maestro nel più completo

imbarazzo. Né avrebbe contribuito a sdrammatizzare la scena il suono di

campanaccio, agitato da un altro membro del Coro, utilizzato-a suo dire-

come “amuleto”. Insomma...tra un atto e l'altro dell'opera ci si diverte e così

gli Autori, che si scatenarono nei secoli in allusioni di ordine sessuale o

sessista, come si vuole.

 

                              muti_ride___giapponese

 

Del resto, basta scorrere questo florilegio di citazioni librettistiche, tratte dalle

più famose opere in repertorio, per notare quanto i testi melodrammatici

siano tutto fuorché casti e puri.

 

 

 

Dall’Otello di Verdi:

 

Desdemona: “Qual è il mio fallo?

 

Otello:” E il chiedi? Il più nero…”

 

 

 

Norma di Bellini: “Si emendi il mio fallo…”

 

 

 

Madama Butterfly di Puccini:” Sì, tutto in un istante io vedo il fallo mio.” “Io

son venuta al richiamo d’amore…”. Pinkerton:” Vieni! Vieni!.”

 

Elisabetta regina d’Inghilterra di Rossini: “ Se l’amico più caro compatisce il

mio fallo,non son tanto infelice”.

 

Ermione di Rossini: “Troja! Qual fosti un dì”.Più avanti: “Ed osa tanto, un

avanzo di Troja!”.

 

Rita di Donizetti:”Oh credi, o mia diletta, ah te lo giuro!Starò come un piuolo,

sommessamente duro.”

 

 

                                          muti_ride_con_kleiber

 

 

Incoronazione di Poppea di Monteverdi: “Non provi i tuoi rigori il fallo mio”.

 

Falstaff di Verdi: “Da fallo nasce fallo…”

 

Barbiere di Siviglia di Rossini:” Là senza fallo, là senza fallo, là senza fallo

mi troverà…”

 

Europa riconosciuta di Salieri:” Ma non merita il fallo mio…”

 

Idomeneo: “ La vuoi vergine? Fallo mio, una innocente darti io non posso, e

se pur tu la vuoi…ingiusto sei , pretenderla non puoi.”

 

Equivoco stravagante di Rossini, dialogo tra Gamberetto ed Ernestina:

G.:”L’uno è di filosofia bravo maestro.Che ho affittato a dieci paoli al mese.

L’altro, oh poi l’altro…è un più grazioso arnese.” E.: “Un arnese grazioso?

Chi sarà mai?”. G.:”Crepa di gioia: lo sposo.”E.:”Oh Dio! In quai momenti…la

mia toelette è disorganizzata! Non sono accinta.” G.:” Accinta, oppur

succinta. E’ tutt’uno. Preparati che a introdurli io vado, o figlia amata.” E.:”Li

ricevo seduta o sollevata?.” G.:”Pur che tu li riceva tutti e due.Fa’ pur come

tu vuoi: hai tal talento da poter stare a fronte a un reggimento.” (parte) .E.:”

Ah celibe Minerva!Immergi in questo istante interessante il virgineo pudor,

nel mio sembiante.”

 

Sempre dall’Equivoco stravagante, Buralicchio ed Ernestina, B.: “Vi

succhieremo- come che va.” Poi Rosalia: “Quel furbarel d’amore, se noi

celiam nel petto, a nostro gran dispetto, vuol sempre venir su.” Ernestina

(dando un piede a Buralicchio):”Di mia clemenza eccoti un pegno, benché

non degno sei di pietà.” Gamberotto: “Bacialo, annasalo.” Buralicchio:”Che

odore io sento.” Gamberotto: “Fra poco, attento, più in su si va.” B.:”Che

strano evento, che caso strano!A dunque dammela, per carità!”.

 

 

 

                            muti_2_corna                

 

 

 

 Gamberotto:”Ah figlia, dagliela, senti a papà!.”    

 

 

Da l’Occasione fa il ladro di Rossini: “Non sarà il fallo così gran cosa. Lungo

 

lungo lungo è l’affar..”

 

La marescialla d’Ancre di Nini:”Oh pompe funeste…”.

 

Da Rigoletto di Verdi, Sparafucile a Rigoletto:”E’ questo il mio

 

strumento, vi serve?”. R.:”No!Al momento!”. S.:”Peggio per voi!”.

R.:”Chissà…”.

 

Orfeo di Monteverdi:” Sol per te bella Euridice, benedico il mio

tormento.Dopo il duol vi è più contento, dopo il mal vi è più felice.”

 

La finta semplice di Mozart:”Fremo ohimé dalla paura, Ei m’infila addirittura.”

 

Il Mondo della Luna di Galuppi :”Schizzettatemi un po’ di quel licore,che v’ha

mandato il vostro imperatore.”

 

Aida di Verdi: “Alla pompa che s’appresta, meco schiava, assisterai.”

 


 
CLAUDIO ABBADO: "GRAZIE".
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Lunedì 20 Gennaio 2014 18:16

                                        abbado__1

 

 

Non ho molta simpatia per i “coccodrilli” dedicati ai grandi personaggi, per lo

più scritti PRIMA dei loro decessi o quando sono in articulo mortis: li ho

sempre trovati un esercizio odioso di ipocrisia e spesso di vacua retorica.

Quindi vi prego di considerare questo mio scritto come un' esigenza

e la necessità assoluta di ricordare e onorare un personaggio grandioso ,

soprattutto di ringraziarlo per il suo straordinario percorso terreno.

 

A Claudio Abbado dobbiamo alcune delle più grandi emozioni teatrali e

concertistiche. Pescando velocemente tra i ricordi: Mahler e Beethoven

all'Accademia di Santa Cecilia, Rossini a Pesaro e a Vienna, il Simon

Boccanegra in almeno due eccezionali edizioni (una nientemeno che con

Giuseppe Taddei protagonista!), la Kovantschina a Vienna (con un favoloso

Ghiaurov), Mozart a Ferrara....eventi che non possono essere dimenticati

perchè in effetti eventi erano, nel più autentico significato della parola.

 

                           abbado_argerich

 

Oggi, in Barcaccia, sono piovuti i messaggi di cordoglio e quel che

maggiormente colpiva era l'incredibile abbraccio ideale di decine e decine di

giovani musicisti, appartenenti a quei complessi che Abbado ha valorizzato e

lanciato, dedicandosi con incredibile tenacia alla valorizzazione di questo

patrimonio. Quasi tutti gli sms, come se questi musicisti si fossero messi

d'accordo (ancora una volta precisi e inappuntabili nell'assieme) dicevano

una sola parola: “Grazie!”. Vedete come sono inutili le parole e i paroloni,

soprattutto se “dovuti” . Grazie. Basta questo per far capire che Abbado si è

conquistato l'amore imperituro di chi lo ha conosciuto e di chi soprattutto ha

goduto dei benefici artistici di questa conoscenza.

 

                            abbado_giovani

 

Non posso dimenticare i volti dei ragazzi della orchestra giovanile europea

nel Viaggio a Reims di Pesaro, all'Auditorium Pedrotti: suonavano con

entusiasmo, gioia e riconoscenza e si sentiva. E si vedeva. Gli stessi occhi

lucidi e felici si vedevano nei filarmonici di Berlino, durante il ciclo

beethoveniano a Roma, subito dopo la terribile operazione subìta da Abbado

e la lunga degenza. Quando apparve sul palco di Via della Conciliazione mi

venne una stretta al cuore: non era più l'Abbado delle copertine ma un uomo

quasi cadaverico, con il frak che pareva appeso sul nulla....piccolo, indifeso

e con un colorito che lasciava capire le sofferenze patite e ancora in atto.

Dopo qualche istante, bastarono due accordi e lo scatto dei magici archi dei

Berliner per compiere il miracolo: Abbado nasceva a nuova vita e tutto

tornava nel suo giusto alveo, intatta l'intonazione, adamantini gli attacchi,

strepitosa la dinamica, vorticoso e perfetto lo stacco ritmico, con una

baldanza giovanile persino superiore a quella dei migliori anni.La musica

lo teneva  in vita e  non appena  il male  gli ha impedito di  far  musica, la

vita  se n'è  andata, con crudele  cronometrica puntualità.

 

                      

 

Sono tutti concordi nell'affermare che il percorso di Abbado, fantastico fin dai

suoi inizi sia stato un crescendo di proporzioni impressionanti. Gli ultimi

Simon Boccanegra e Falstaff, l'ultimo Mozart,il Fidelio, l'ultimo

Bruckner...sono testimonianze che lasciano senza fiato per la continua

ricerca della perfezione, del Bello. Vette che Abbado ha raggiunto e alle

quali hanno  anelato  tanti e tanti inutili succedanei ,magari sorretti  da

campagne  mediatiche  stolte  e  persino ridicole.

Abbado  è  stato uno  di  quei  musicisti  "fatti di Musica" , la  cui  musicalità

non era  solo frutto di studio e  di  Accademie  ma  apparteneva  al  dna,

scaturiva da  ogni  poro  della pelle. Non si spiega  altrimenti l'arcano  della

sua  memoria, che  gli consentiva  di  dirigere  Mahler  o  Berg, senza 

partitura  davanti. I suoi colori, i  suoi pianissimi, i suoi effetti di  crescendo,

la  purezza e la morbidezza degli attacchi, che  possono essere  colti  sia

con i  Wiener  o i Berliner  sia  con i professori  della  defunta  orchestra

della  Rai  di  Roma, in quel memorabile  Requiem di  Verdi  eseguito

alla Minerva, con la  Scotto, Pavarotti, la Horne  e Ghiaurov  in stato di

grazia.

 

                          

 

 

Abbado nasce a Milano e muore a Bologna esattamente pochi giorni dopo i

laconici comunicati che annunciavano la fine di uno dei suoi gioielli,

l'orchestra Mozart, nata nel 2004 su entusiastico volere del Maestro e del

suo grande amico e sostenitore, Cofferati. Una notizia abbastanza

raccapricciante e sintomatica, considerando che in un paese che ha visto

nascere tutto, ora si assiste piano  piano alla morte di ogni cosa.

 

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MODERNITA' e TRADIZIONE, banalità ed equivoci
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Venerdì 20 Dicembre 2013 20:10

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                                             Berlioz  La  Damnation e  Faust  , regìa  Hugo De  Ana

 

 

A seguito della Traviata che ha inaugurato la stagione 2013\14 della Scala e della

conseguente lettura di tante opinioni, a volte sensate e a volte tremendamente sciocche,

si riaffaccia una vecchia questione : l'antico scontro tra “modernità” e “tradizione” per

l'allestimento dei melodrammi. A mio parere sono due termini errati e fuorvianti.

 

Stabiliamo intanto cosa significhi “tradizione” : le tele dipinte dei tempi del Parravicini? Il

“costruito” in stile Zeffirelli, De Ana o , nella più modesta e a buon mercato versione De

Tomasi? E cos'è “modernità” ? La scatola nera di Bob Wilson, i topi di Neuenfels nel

“Lohengrin” , la “Traviata” col sigaro di Tcherniakov?

 

       regia__kresnik_topolino       regia__zeffirelli

             Kresnik                                                                                    Zeffirelli

 

Tradizione può essere buona o cattiva tradizione, può essere lo splendido Trovatore o la

Turandot di Zeffirelli all'Arena di Verona ma può anche essere la bruttissima “Tosca” di

Giuseppe Giuliano all'Opera di Roma. Può essere il memorabile “Mosé” di Rossini

realizzato da De Ana, o l'”Ermione” , o la “Traviata” dell'Arena di Verona, sempre di De

Ana, spettacoli di pregevolissima fattura, ma tradizione può voler dire, dall'altra parte, il

“Ridicoletto” o l'”Aida” di Taormina con la modestissima messa in scena di Castiglione.

Tradizione può voler dire, quindi, rispetto dell'ambientazione decisa dall'Autore e della

drammaturgìa relativa, con ampio sfoggio del Bello visivo e coreografico, e al contempo

può voler dire l'ultima cosa brutta vista nel più brutto spettacolo. Dall'alfa all'omega.

 

       regia__meistersinger   regia_trovatore_zeffirelli

 

Stesso dicasi per il concetto di “modernità”: moderno è Bob Wilson nel 1964 con la sua

prima scatola nera ma può esserlo ancora 50 anni più tardi? Persistendo la scatola nera?

Moderna è Mimì che muore di overdose con Ken Russell nei lontani anni 80 e moderna la

Netrebko che muore di overdose OGGI? D'accordo che la piaga della droga è destinata a

non risolversi mai, ma un po' più di fantasia non guasterebbe. Moderne sono le api che

ballano intorno ad Abigaille in un ormai classico Nabucco tedesco, moderno è il tenore

Beczala che fa il casalingo chez Violetta nella Traviata di Tcherniakov?....ma di soprani e

tenori in abiti “moderni” non facciamo che vederne a iosa in ogni opera di repertorio da

almeno quarant'anni??!! E dove sta la modernità in  una lavatrice, quando  già trent'anni  

fa ci aveva  pensato  Ken Russell a far  centrifugare  il figlio di Margherita nel Mefistofele!

                                          russell-mefistofele-cover

 

Tradizione e modernità sono due termini da abolire, perchè oltre a celare la profonda

ignoranza del recensore, mascherano in modo ipocrita termini molto più semplici, lineari e

schietti: Bello e Brutto, Coerente e Idiota, Intelligente e Fesso, Fantasioso e Ottuso.

Ognuno sceglierà lo spettacolo che preferisce in base alle sue preferenze, ai suoi gusti e

, perchè no, alle sue perversioni. 

 

                          traviata_beczala__affetta


 


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